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Australia e mercati emergenti apripista per tagli dei tassi, possibilità per Fed

Pubblicato 05.06.2019, 12:04
Aggiornato 02.09.2020, 08:05

Forse Philip Lowe dovrebbe essere il prossimo appuntamento del consiglio direttivo della Federal Reserve USA. Il capo della Reserve Bank of Australia (RBA), la banca centrale dell’aussie, dopo aver tagliato i tassi ieri dall’1,5% all’1,25% ha avuto tante cose importanti da dire, che i policymaker della Fed farebbero bene ad ascoltare.

“Di base, la decisione di oggi è stata presa per supportare la crescita dell’occupazione e per offrire maggiore fiducia nel fatto che l’inflazione sarà in linea con l’obiettivo a medio termine”, ha affermato Lowe in occasione della cena del direttivo della Reserve Bank ieri sera. Ed ha smentito le voci secondo cui il taglio è stato dovuto ad un rallentamento della crescita economica. “Al contrario, rispecchia il fatto che, persino con la prevista ripresa della crescita, l’economia australiana probabilmente avrà capacità di riserva ancora per un po’”, ha puntualizzato.

Questo semplice prendere atto dei fatti fa sembrare ancor più errati tutti i giri di parole della Fed per negare la realtà. Dopo aver cementato l’intenzione di alzare i tassi lo scorso anno, per poi scusarsi per essere troppo lenta nel cambiamento, la Fed sembra ora determinata ad attuare il piano della pazienza quest’anno.

E questo malgrado l’evidenza che, come l’Australia, gli Stati Uniti sono ben lontani dal raggiungere l’obiettivo di inflazione ed hanno poca capacità di riserva sul mercato del lavoro. Altre banche centrali, specialmente sui mercati emergenti, non sono state tanto lente ad accettare queste realtà.

La Reserve Bank of India si avvia a tagliare il tasso pronti contro termine questa settimana dello 0,25% per la terza volta quest’anno. Non solo l’inflazione è ben al di sotto dell’obiettivo del 4%, ma gli ultimi dati economici mostrano un preoccupante rallentamento dell’attività.

I tagli dei tassi hanno superato gli aumenti a maggio per il quarto mese consecutivo in 37 mercati emergenti seguiti da Reuters. E questo dopo nove mesi di aumenti di tassi netti per compensare un dollaro più forte, l’aumento dell’inflazione e le valute più deboli.

Tra i tagli dei tassi effettuati il mese scorso troviamo quelli di paesi asiatici come lo Sri Lanka, con un taglio dello 0,50% del tasso di riferimento; le Filippine, con una riduzione dello 0,25% per le previsioni di un rallentamento dell’inflazione insieme a quello dell’economia; e la Malesia, che ha ridotto i tagli dello 0,25% nei timori per la crescita economica globale.

L’Ucraina ha abbassato il tasso di riferimento per la prima volta in due anni, sull’esempio di altre ex repubbliche sovietiche come Azerbaijan, Kazakistan, Tajikistan, Kyrgyzstan e Georgia. In Africa, Nigeria, Angola e Ruanda hanno tagliato i tassi.

Altri paesi li hanno invece alzati. Il Pakistan li ha aumentati per combattere l’inflazione, così come Repubblica Ceca e Tunisia, mentre molti altri non hanno apportato cambiamenti alla politica monetaria. Ma il trend tra i 22 paesi che hanno variato la politica monetaria resta decisamente a favore dei tagli.

Il capo della Fed di St. Louis James Bullard, nota “colomba” all’interno del Federal Open Market Committee (FOMC), ha spronato i mercati USA ieri affermando che un taglio dei tassi potrebbe essere presto necessario se lo stallo sul commercio dovesse prolungarsi. Il presidente della Fed Jerome Powell ha gettato altra benzina sul fuoco ieri dichiarando che la banca centrale sta monitorando da vicino la situazione commerciale e che “agirà in modo appropriato per sostenere l’espansione”.

I rischi economici per l’escalation delle tensioni commerciali senza dubbio sono reali, e se la Fed vuole usarli come alibi per correggere il suo precedente errore dell’aver alzato i tassi troppo velocemente e del non aver fatto dietrofront perché il Presidente Donald Trump la vessava a farlo, gli investitori non si lamenteranno. Qualcuno si aspetta che la Fed faccia marcia indietro già durante il vertice di questo mese, ma gli investitori cercheranno maggiori dettagli di flessibilità e meno riferimenti alla pazienza.

Allo stesso tempo, i membri del FOMC farebbero meglio ad accettare consigli dall’australiano Lowe. Dopo aver dato una pacca sulla spalla alla banca per aver adottato un obiettivo di inflazione flessibile, il governatore della RBA ha aggiunto che “questa flessibilità, tuttavia, non è illimitata”.

Il senso di un obiettivo è fornire una forte ancora a medio termine per l’inflazione bassa e stabile, ha spiegato, un prerequisito importante per una crescita sostenibile dell’occupazione e delle entrate. E indovinate un po’? Se l’inflazione restasse troppo bassa per troppo tempo, le aspettative potrebbero ridursi e sarebbe più difficile raggiungere l’obiettivo di inflazione a medio termine. CVD.

Gli economisti si aspettano che la RBA tagli i tassi almeno un’altra volta quest’anno, o magari anche due, portando il tasso allo 0,75% entro fine anno. E Lowe non ha alcuna obiezione a questo. “Il direttivo non ha ancora preso una decisione, ma non è irragionevole aspettarsi un tasso più basso”, ha affermato. La banca centrale si aspetta che il tasso segua le previsioni del mercato, che lo pongono a circa l’1% alla fine del 2019.

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