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Due vincitori, un grande perdente dopo la proroga dell’accordo OPEC

Pubblicato 06.12.2017, 14:40
Aggiornato 02.09.2020, 08:05

di Jesse Cohen

L’Organizzazione dei Paesi Esportatori di petrolio (OPEC) insieme ad alcuni produttori non OPEC con a capo la Russia, la scorsa settimana ha deciso, in occasione del vertice OPEC a Vienna, di estendere gli attuali tagli alla produzione di greggio per altri nove mesi, fino alla fine del 2018, come previsto.

“È stata una buona, lunga giornata … potremmo dire ottima”, ha dichiarato il ministro del petrolio saudita Khalid Al-Falih in occasione della conferenza stampa seguita al vertice del 30 novembre. “Sono lieto di annunciare che la decisione è stata unanime”.

Tuttavia, i principali produttori petroliferi mondiali hanno indicato anche la possibilità di un’uscita dall’accordo se il mercato dovesse surriscaldarsi ed i prezzi dovessero salire tanto da consentire ai principali rivali dell’OPEC, i produttori di petrolio da scisto statunitensi, di iniziare ad aumentare la produzione. L’accordo per tagliare la produzione di 1,8 milioni di barili al giorno (bpd) è stato inizialmente adottato nel novembre 2016 dall’OPEC, dalla Russia e da altri nove produttori nel tentativo di riequilibrare le scorte e la domanda sul mercato. L’accordo sarebbe dovuto durare fino al marzo 2018 essendo già stato prorogato una volta, nel maggio 2017.

Ecco chi sono i due maggiori vincitori del vertice della scorsa settimana ed il principale produttore che si è ritrovato da quella che sembra la parte degli sconfitti.

Vincitore n° 1: i produttori di petrolio da scisto USA

Il principale vincitore dei tagli alla produzione OPEC sono stati i produttori di petrolio da scisto USA, tra cui Exxon Mobil (NYSE:XOM), Marathon Oil (NYSE:MRO) e Chesapeake Energy (NYSE:CHK). In particolare, hanno beneficiato dall’aumento dei prezzi del greggio, con i future del West Texas Intermediate tornati a circa 60 dollari al barile dai minimi di 27 dollari segnati nel gennaio 2016.

La straordinaria impennata del prezzo del greggio nell’ultimo anno ha spinto il settore del petrolio da scisto USA ad ingranare la quinta. La produzione nazionale ha visto una ripresa di quasi il 15% dal minimo più recente di metà 2016. Secondo la U.S. Energy Information Administration (EIA), la produzione nazionale di greggio ha toccato i 9,68 milioni di barili al giorno la scorsa settimana e l’aumento dell’attività di trivellazione indica che la produzione dovrebbe aumentare ancora, dal momento che i produttori sono attratti dai prezzi in salita.

Le compagnie energetiche statunitensi hanno aggiunto due impianti nella settimana terminata il 1° dicembre, portando il totale a 749, il massimo da settembre, secondo quanto riportato dall’azienda di servizi energetici di General Electric (NYSE:GE) Baker Hughes nel suo seguitissimo report settimanale sul numero degli impianti attivi. Rystad Energy, un’azienda di servizi di consulenza petrolifera negli Stati Uniti, di recente ha previsto che la produzione USA toccherà i 9,9 milioni di barili al giorno entro la fine del 2017, portando la produzione del paese vicina a quella dei principali produttori: la Russia e l’Arabia Saudita.

Un altro fronte su cui i produttori di petrolio da scisto USA stanno battendo l’OPEC in conseguenza dell’accordo sul taglio della produzione: stanno acquisendo una partecipazione di mercato sempre maggiore, specialmente in Asia. In un report intitolato "Christmas comes early," Barclays venerdì ha affermato:

“Le esportazioni USA di greggio in Cina potrebbero facilmente raddoppiare il prossimo anno con la capacità statunitense di produzione ed esportazione in aumento … (e) i paesi OPEC vedranno scendere ulteriormente la loro partecipazione di mercato in Asia”.

Se continuerà con il suo rapido ritmo di produzione nei prossimi mesi, il settore del petrolio da scisto US resterà una spina nel fianco per l’OPEC e potrebbe minare gli sforzi del gruppo di ridurre le scorte in esubero sul mercato.

Vincitore n° 2: le compagnie petrolifere russe

Prima del vertice del 30 novembre, le dichiarazioni della Russia circa il fatto di appoggiare o meno la decisione di prorogare i tagli alla produzione sono state ambigue. Le lamentele da parte del ministro del petrolio russo Alexander Novak, nonché quelle dei dirigenti delle principali compagnie petrolifere del paese, sono aumentate negli ultimi mesi per via dei prezzi alti del greggio che hanno aiutato il settore del petrolio da scisto USA ad incrementare la produzione rosicchiando la partecipazione sul mercato globale, quindi il fatto che l’accordo della scorsa settimana preveda anche una revisione dei limiti alla produzione in occasione del prossimo vertice OPEC di giugno rappresenta una grande vittoria per loro.

Un dirigente senior di Gazprom Neft (OTC:GZPFY) all’inizio del mese scorso ha dichiarato che la compagnia aveva accettato a malincuore l’accordo sui tagli alla produzione poiché gli aveva fatto abbassare gli obiettivi sulla crescita della produzione. Altre compagnie petrolifere russe avevano espresso gli stessi timori nei giorni precedenti al vertice, affermando che le restrizioni sulla produzione pesavano sulla riga dei risultati.

La proroga dei tagli alla produzione inoltre farebbe posticipare ulteriormente aumenti significativi della capacità di produzione russa, in particolare nel caso dell’influente Rosneft (OTC:OJSCY).

Queste preoccupazioni hanno spinto la delegazione OPEC russa ad insistere per avere chiarimenti su come uscire dall’accordo sui tagli, per evitare l’eventualità che i mercati energetici si capovolgano troppo presto in un deficit, che i prezzi salgano troppo velocemente e che i produttori rivali di petrolio di scisto USA aumentino ancora di più la produzione.

L’amministratore delegato del principale produttore privato russo Lukoil (OTC:LUKOY) ha dichiarato subito dopo il vertice OPEC che gli piacerebbe vedere il prezzo del greggio stabile ai livelli attuali, in un range compreso tra 60 e 65 dollari al barile. Sebbene Novak abbia affermato che tutte le compagnie russe erano favorevoli agli ultimi limiti sulla produzione, i baroni del petrolio russi potrebbero tirarsi indietro dall’accordo al primo segnale di un surriscaldamento del mercato.

In risposta a questi timori, il saudita Al-Falih ha dichiarato che il gruppo sarà “svelto” e “all’erta”, pronto a rispondere se le condizioni del mercato dovessero cambiare significativamente, un’allusione ai funzionari russi che avevano espresso il timore che la proroga dei tagli alla produzione potrebbe incoraggiare il settore del petrolio da scisto USA a pompare più greggio.

In fin dei conti, Mosca vede più vantaggi nei prezzi del greggio più bassi, quindi aggiungere l’opzione di rivedere l’accordo a giugno rappresenta una grande vittoria per le compagnie petrolifere russe, che stanno già avendo un ripensamento sulla proroga di nove mesi.

Il perdente: l’Arabia Saudita

L’Arabia Saudita è stato il principale motore della spinta per il riequilibrio del mercato e il supporto del prezzo, con Riad che ha ridotto i livelli di produzione molto più del resto dei paesi che hanno preso parte all’accordo.

Parlando dopo il vertice della scorsa settimana, il ministro del petrolio saudita Khalid Al-Falih si è vantato del fatto che l’accordo sulla produzione ha già limitato le scorte in eccesso, ma sono necessari ulteriori tagli per riportare le scorte di greggio globali alla media quinquennale.

Falih ha affermato che è prematuro parlare di uscire dall’accordo sui tagli, almeno per un paio di trimestri, dal momento che il mondo sta entrando in un periodo di bassa domanda invernale, sminuendo la possibilità che possa avvenire un cambiamento della politica in occasione del prossimo vertice OPEC di giugno.

“Quando ci avvicineremo ad un’uscita, lo faremo molto gradualmente … per assicurarci di non sconvolgere il mercato”, ha spiegato.

La posizione di Riad rappresenta un cambiamento dal suo recente ruolo di invitare al controllo e cercare di convincere gli altri membri che un aumento troppo veloce dei prezzi favorirebbe i fornitori di energia alternativa. “L’Arabia Saudita è ora il principale falco dei prezzi”, ha affermato una fonte di alto livello dell’OPEC.

Ciò che ha spinto i sauditi a ripensare le proprie politiche OPEC è l’imminente IPO di Aramco, il gioiello della corona del regno. L’IPO, in programma nel secondo semestre del 2018, è stata promossa come la più grossa offerta pubblica iniziale mai avvenuta, con i funzionari sauditi che si vantano del fatto che Aramco valga circa 2 mila miliardi di dollari. Quindi, c’è il desiderio di spingere i prezzi del greggio per massimizzare la valutazione di Aramco prima della quotazione.

Gli alti prezzi del greggio sono necessari inoltre per le riforme economiche che il trentunenne principe ereditario Mohammed bin Salman ha progettato nell’ambito del suo piano “Vision 2030”.

Un tempo leader di fatto dell’OPEC, i sauditi hanno visto svanire parte della loro influenza all’interno del gruppo e ciò ha acceso le preoccupazioni tra i funzionari di Riad. A dirla tutta, la Russia sembra aver rimpiazzato l’Arabia Saudita come ago della bilancia dei mercati, insieme al petrolio da scisto USA. Una fonte OPEC che ha chiesto l’anonimato ha affermato che il Presidente russo Vladimir Putin sta “conducendo le danze” sui mercati energetici.

Finora, gli interessi dei sauditi e della Russia sembrano essere coincisi ma questa situazione potrebbe cambiare prima del previsto. Se l’accordo sulla produzione avrà successo nel rimuovere 1,8 milioni di barili al giorno di scorte dal mercato fino alla fine del prossimo anno, non ci sono dubbi che le scorte globali torneranno in equilibrio, possibilmente anche fin troppo, spingendosi troppo oltre.

Il prezzo del WTI potrebbe superare i 60 dollari e raggiungere anche i 70, il che scatenerebbe una risposta ancora più forte da parte dei produttori di petrolio da scisto USA, pregiudicando ancora di più l’obiettivo dei sauditi.

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