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Gli investitori USA potrebbero trovare ritorni migliori sui mercati emergenti

Pubblicato 03.01.2019, 12:13
Aggiornato 09.07.2023, 12:32

di Natalie Erlich

Dopo che Wall Street ha registrato le perdite annuali peggiori dell’ultimo decennio, gli investitori alla ricerca di ritorni migliori potrebbero finalmente puntare ai mercati emergenti, che sono ancora molto economici rispetto ai titoli azionari USA.

“Pensiamo che i mercati emergenti siano oversold”, ha affermato James Ashley, a capo delle strategie dei mercati internazionali di Goldman Sachs Asset Management durante un incontro a Singapore. “La consideriamo un’allettante opportunità di entrata”.

I mercati emergenti offrono agli investitori un classico scenario da alto rischio e alta ricompensa. Le nazioni dei mercati emergenti, tanto varie da comprendere Russia, India, Taiwan e Brasile, rappresentano il 40% della produzione economica mondiale, ma solo il 12% del valore di mercato globale e, con le nazioni in via di sviluppo che passano da agricoltura e materie prime a manifattura e tecnologia, le opportunità aumenteranno sempre di più.

Ma il livello di rischio non dev’essere sottovalutato. L’indice Emerging Markets Index di MSCI ha registrato crolli di oltre il 16% sull’intero 2018 e i mercati azionari in Turchia, Cina e Sud Africa hanno segnato le performance annuali peggiori dell’ultimo decennio. Positive invece le borse russe, che hanno visto l’ultimo giorno di scambi venerdì, chiudendo con un balzo del 12% sull’anno.

EEM vs SPY 2018 Performance

La performance relativa dei titoli azionari statunitensi in confronto al resto del mondo è ancora al massimo dal 1970, secondo il Financial Times. E considerando solo i mercati emergenti, il rapporto tra l’ETF iShares MSCI Emerging Markets (NYSE:EEM) e l’ETF SPDR S&P 500 (NYSE:SPY) si attesta allo 0,16, vicino a livelli che non si registravano dal 2004.

Research Affiliates, consulente su oltre 160 miliardi di dollari di asset di investimento istituzionali, afferma che il divario delle quotazioni tra gli Stati Uniti e i mercati emergenti è ingiustificato dal punto di vista dei fondamentali. In base agli ultimi dati pubblicati a fine novembre, il CAPE (cyclically adjusted price-to-earnings, ovvero rapporto prezzo utili aggiustato per i cicli) sui mercati emergenti era 14,9. Il CAPE della Russia era quello più basso, con 6,5, mentre la Turchia ha registrato 8,1, la Cina 14,8 e il Brasile 14,9. Il CAPE indiano si attestava molto più in alto, a 21,5.

Il CAPE ratio viene usato per prevedere i ritorni futuri. Se il rapporto è basso, implicando che il prezzo è basso in confronto agli utili, i ritorni futuri tendono ad essere alti.

La media è 16, spiega Chris Brightman di Research Affiliates. Il mercato azionario USA, intanto, si attesta a 29,7, quasi il più costoso di quanto possa diventare. Fa notare Brightman:

“Le uniche volte nella storia in cui abbiamo visto il mercato azionario USA con un CAPE superiore a 30 è stato nel 1929 e alla fine degli anni Novanta e in nessuno di questi due casi è finita bene per gli investitori dell’azionario”.

Con una visibilità difficile nel 2019, i compratori dovrebbero stare attenti

Ciononostante, i rischi dei mercati emergenti sono vari e possono derivare da una serie di fattori.

“Tutto quello che leggete e vedete è vero”, afferma Brightman.

“Ci troviamo alle prese con una brutta guerra commerciale con la Cina. L’ambiente politico in Brasile è un caos assoluto. La Russia interferisce con le nostre elezioni ed ha appena cominciato un’altra guerra con l’Ucraina. L’India ha considerevoli problemi con il suo governo nazionalista populista. In Sud Africa dilaga la corruzione. E non parliamo nemmeno dei problemi in Turchia.

È tutto vero. Ed è per questo che ci sono prezzi bassi e i prezzi bassi sono il motivo per cui probabilmente vedremo degli alti ritorni futuri”.

Turchia ed Argentina sono giustamente oggetto di preoccupazione. Ma i titoli turchi rappresentano meno dell’1% dei titoli dei mercati emergenti, secondo Research Affiliates. D’altra parte, Cina, Corea, Taiwan, India e Russia hanno tutti bassi rapporti debito estero-PIL ed ampie riserve di valute straniere. “Insieme, questi grandi mercati a basso rischio di crisi rappresentano il 60% dell’indice MSCI Emerging Markets Index,” secondo la compagnia.

Ma non tutti i money manager ne sono convinti.

Gabriela Santos, esperta di strategie dei mercati globali di JPMorgan Asset Management, afferma che le prospettive sui titoli dei mercati emergenti nel 2019 sono difficili da valutare, in quanto numerose variabili come l’inasprimento dei tassi di interesse della Fed, il persistere delle tensioni commerciali e il rallentamento cinese pesano sulla visibilità. Tuttavia, malgrado l’incertezza, questo è un buon momento per gli investitori che non hanno esposizione ai mercati emergenti di scegliere un approccio pluriennale, aggiunge Santos.

“Per alcuni investitori, soprattutto negli Stati Uniti, che sono esitanti ad investire sui mercati emergenti, pensiamo che questa sia un’opportunità di acquisto perché abbiamo visto le quotazioni scendere del 15%”.

I consumatori di Cina e India potrebbero spingere la crescita a lungo termine

Laura Geritz, Amministratore Delegato di Rondure Global Advisors, è persino più cauta sui mercati in generale. “I mercati emergenti hanno già visto una certa correzione ... ma li ho visti anche più economici di così”, ha dichiarato Geritz.

“I mercati statunitensi, soprattutto i titoli a bassa capitalizzazione rispecchiati dall’indice sulla crescita Russell 2000 sono costosi secondo me, sopravvalutati. L’analista azionaria che è in me, guardando dal basso verso l’alto, ritiene che questi mercati (quelli statunitensi) siano troppo costosi. Vedranno una correzione ed è difficile pensare che ci sarà un calo negli Stati Uniti e il mondo non lo seguirà a ruota”.

Tuttavia, tiene d’occhio le opportunità in Cina, ricordando che la sua azienda ha fatto dei buoni affari nel paese negli ultimi mesi.

“Ci piace Yum China (NYSE:YUMC). Ha liquidità nel bilancio quindi anche se gli affari dovessero rallentare ha comunque la possibilità di ricompensarci con dividendi e riacquisti di azioni, ma possiamo comunque permetterci di scegliere altri nomi man mano che se ne presenterà la possibilità”.

Alcuni dei suoi preferiti di alta qualità, però, come i beni di consumo in India, restano costosi, afferma. “Si tratta di imprese veramente di alta qualità. Stiamo scegliendo i posti migliori”.

Ciò che rende i grandi paesi emergenti come Cina ed India particolarmente allettanti è il fatto che la loro crescita economica è fondamentalmente legata all’ascesa della loro classe media, spiega Santos di JPMorgan. “Al momento, in India, solo il 12% della popolazione appartiene alla classe media”. Tuttavia,

“entro il prossimo decennio, si prevede che l’80% della popolazione faccia parte della classe media. Pensate alle centinaia di milioni di persone che saranno in grado di comprare cose che la gente dei mercati sviluppati dà per scontate (prodotti di bellezza, utensili da cucina, elettronica) e che si uniranno al settore finanziario (conti correnti bancari): questa è la storia pluriennale in cui vogliamo entrare quando compriamo sui mercati emergenti”.

Ma mentre le grandi economie come Cina e India presentano delle solide traiettorie, i mercati più piccoli sono più rischiosi, avverte Geritz. “I mercati emergenti minori e quelli di frontiera al momento non presentano alcuna attrattiva. Potrebbero essere la scelta giusta per chi gioca al contrario. Sono comunque preoccupata per il ciclo dei tassi di interesse a livello globale e per il suo impatto sui titoli azionari”.

Comunque, non è particolarmente negativa sui mercati emergenti. I multipli USA sembrano tanto alti quanto lo erano nella bolla del 1999 e in alcuni casi anche peggio, afferma. “Ci andrei piano dappertutto”.

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