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I tagli sauditi potrebbero fermare il calo del greggio; oro vicino al tonfo?

Pubblicato 12.11.2018, 16:06
Aggiornato 02.09.2020, 08:05

Il prezzo del greggio è salito negli scambi asiatici di questo lunedì dopo che l’Arabia Saudita, il principale esportatore mondiale di greggio, nel weekend ha annunciato l’intenzione di diminuire la sua produzione giornaliera di mezzo milione di barili, nel tentativo di mettere fine al selloff che ha cancellato un quinto del valore di mercato in cinque settimane. Ma i prezzi potrebbero indebolirsi ancora se tra i trader dovesse aumentare la delusione per i previsti tagli maggiori da parte dell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di petrolio (OPEC).

L’oro è un’altra materia prima che, questa settimana, potrebbe essere presa di mira dagli orsi che prevedono poco rialzo per il metallo prezioso, vista la serie di aumenti dei tassi USA in programma.

Dopo il forte aumento di venerdì dell’indice sui prezzi alla produzione USA, un’accelerazione nella prossima lettura dell’indice sui prezzi al consumo (IPC) e delle vendite al dettaglio potrebbe spingere ulteriormente il dollaro, creando problemi per la maggior parte delle materie prime valutate in dollari, la valuta di riserva globale. Oltre ai dati statunitensi, gli investitori esamineranno anche i dati della zona euro sull’indice IPC e sul PIL.

Se dovesse persistere il clima di bassa propensione al rischio tra gli energetici e i metalli, gli investitori long sulle materie prime potrebbero trovare consolazione sui mercati agricoli, con l’esperto di previsioni sui prezzi del raccolto Shawn Hackett che riporta segnali “buy” a breve termine per soia, farina di soia, frumento, cotone, succo d’arancia e legname.

L’OPEC potrebbe intervenire con urgenza

WTI 1-Hour Chart

Per quanto riguarda il greggio, il Brent, il riferimento internazionale britannico, è schizzato di oltre l’1% in apertura della settimana in Asia e anche il West Texas Intermediate (WTI) è salito. Venerdì, il Brent è sceso sotto il supporto di 70 dollari che conservava da maggio, mentre il WTI è sceso sotto i 60 dollari che manteneva da marzo.

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Ma qualcuno, come Dominick Chirichella dell’Energy Management Institute di New York, continua ad esprimere un certo scetticismo. Si legge in una nota di Chirichella:

“Confermo la mia visione generale sul petrolio e quella a breve termine come cautamente ribassista. I fondamentali attuali stanno diventando meno di supporto in quanto scorte e domanda potrebbero non subire un impatto tanto forte dalle sanzioni iraniane come aveva previsto inizialmente il mercato”.

Il ministro dell’energia saudita Khalid al Falih ha annunciato nel fine settimana che le scorte di greggio del regno dovrebbero scendere di circa 0,5 milioni di barili al giorno a dicembre.

Sebbene l’annuncio saudita abbia fornito un’immediata spinta ai prezzi del greggio, potrebbero ancora restare delusi i trader che si aspettano tagli di ben 1,0 milioni di barili al giorno da parte dell’OPEC per compensare l’aumento delle scorte derivanti dalle generose esenzioni concesse dagli Stati Uniti dalle sanzioni sul greggio iraniano.

Falih ha presieduto un vertice della cosiddetta “commissione congiunta di monitoraggio del mercato OPEC e non-OPEC” ad Abu Dhabi questo fine settimana. Ma non ci sono state indicazioni immediate del fatto che i partecipanti, tranne l’Arabia Saudita, compreso il membro non-OPEC, la Russia, siano inclini a ridurre le scorte. Il taglio dei sauditi potrebbe essere più che altro un evento stagionale, con Falih che riconosce che dicembre è un periodo debole per la domanda.

Anche se il gruppo OPEC può aver perso un’opportunità per intervenire, i tagli alla produzione probabilmente saranno in cima all’elenco delle priorità in occasione del prossimo e più importante vertice del 6 dicembre a Vienna.

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L’ultimo round di tagli dell’OPEC è cominciato nel gennaio 2017, quando i prezzi del greggio si rialzavano dal tonfo dovuto all’eccesso di scisto USA del 2014 che aveva spinto i prezzi vicino a quasi 25 dollari al barile. Sebbene fosse previsto che le riduzioni durassero fino alla fine del 2018, il gruppo le ha terminate anticipatamente quando i prezzi hanno cominciato a schizzare alla fine del 2017. Anche stavolta, l’OPEC è in qualche modo influenzata dalla produzione petrolifera statunitense, che si attesta ora al massimo storico settimanale di 11,6 milioni di barili al giorno.

A rischio il supporto di 1.200 dollari dell’oro

Gold 5-Hour Chart

Per quanto riguarda l’oro, il supporto di 1.200 dollari che ha rappresentato il caposaldo del mercato negli ultimi due mesi potrebbe essere infranto questa settimana, dopo i dati sull’indice IPP USA di venerdì che sono stati una conferma dell’intenzione della Federal Reserve di alzare i tassi di interesse a dicembre.

La Fed ha già alzato i tassi tre volte quest’anno ed è determinata a restare al di sopra della curva inflazionaria con altri aumenti nel 2019, in seguito alla forte crescita registrata ultimamente dall’economia USA. Gli aumenti dei tassi di solito spingono il dollaro, che è una scommessa contraria rispetto all’oro.

L’indice del dollaro USA, che replica l’andamento del biglietto verde contro un paniere di altre sei principali valute, è salito dello 0,22% venerdì, chiudendo la quarta settimana consecutiva al rialzo. TD Securities prevede che l’oro perda ancora parte del suo appeal di asset rifugio questa settimana e che il dollaro diventi il rifugio preferito dagli investitori ottimisti sull’economia USA.

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I future dell’oro USA con consegna a dicembre si sono attestati a 1.208,60 dollari l’oncia troy, con un tonfo di 16,50 dollari, o dell’1,3%, venerdì. È stato il calo giornaliero maggiore dei future dell’oro dal 15 agosto. Il minimo della seduta è stato 1.207,30 dollari, il minimo di quattro settimane. In una nota di TD Securities si legge:

“Eliminati i rischi di coda, non saremmo sorpresi di vedere l’oro riprendere la sua traiettoria in discesa per il momento”.

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