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Il difetto al centro del cammino della Fed verso la normalizzazione della politica

Pubblicato 19.02.2018, 17:07
Aggiornato 02.09.2020, 08:05
  • I risultati di Yellen saranno difficili da replicare
  • A Powell resta la responsabilità di normalizzare ulteriormente la politica monetaria
  • La “sovra-comunicazione” dell’attuale politica monetaria potrebbe essere un difetto fatale per la Fed

Se i mercati azionari devono essere considerati il metro per determinare la qualità della performance al timone della Federal Reserve, il neo-nominato presidente Jerome Powell ha passato una prima settimana difficile.

Il mandato di Powell alla presidenza della Fed è cominciato il 5 febbraio, in un clima di estrema agitazione sui mercati: sia l’indice Dow che l’indice S&P 500 sono crollati del 5,2% durante quella settimana, registrando l’andamento peggiore dal gennaio 2016.

“Non avevo un computer durante il mio primo giorno a LPL e pensavo che questo fosse brutto”, ha commentato Ryan Detrick, responsabile senior di strategie di mercato di LPL Research. “Ebbene, Jerome Powell ha vissuto la giornata peggiore per un presidente della Fed quando lunedì il Dow è crollato del 4,6% e direi che è questo che può essere considerato un brutto primo giorno di lavoro!”

Tuttavia, non bisogna dare molto peso a questo cattivo benvenuto per Powell dal momento che, secondo i dati di Detrick, l’indice Dow tende a crollare di oltre il 15% in media nei primi sei mesi di una nuova leadership della Fed. Detrick nota anche, però, che la ripresa media dell’indice Dow in un anno dopo aver segnato questi minimi in sei mesi è equivalente al 20%.

L’ex presidente della Fed Janet Yellen ha chiuso il suo regno alla banca centrale con dei risultati impressionanti, compresi rialzi del mercato azionario ed un calo significativo della disoccupazione, risultati che per Powell saranno difficili da replicare ricevendo il testimone della normalizzazione della politica monetaria.

Sebbene Yellen sia stata capace di guidare senza problemi sia l’economia USA che i mercati azionari attraverso la spinta della rimozione della politica accomodante, potrebbe anche aver lasciato in eredità al suo successore la strategia di politica monetaria che potrebbe aprire la strada al prossimo grosso sconvolgimento sui mercati.

Gli straordinari risultati di Yellen hanno dato solo il calcio di inizio alla normalizzazione della politica monetaria

Quando Yellen ha preso il timone della Fed il 3 febbraio 2014, il tasso di disoccupazione era al 6,7%. Quando ha lasciato l’incarico, il tasso di disoccupazione era al 4,1%, il minimo dal 2000. Si tratta anche del tasso di disoccupazione finale più basso mai visto da ogni altro presidente della Fed dai tempi di William Martin nel 1970. Inoltre, il calo del 2,6% dall’inizio del mandato alla fine è il più alto mai registrato da un presidente della Fed nell’epoca successiva alla Seconda Guerra Mondiale. Al secondo posto nella lista troviamo Alan Greenspan, che è riuscito a registrare un calo di solo l’1,3% ed il suo mandato più lungo non è stato facile, con il tasso che ha raggiunto quasi l’8% all’inizio degli anni Novanta.

Gli investitori dell’azionario farebbero probabilmente bene ad applaudire Yellen, con l’indice S&P che è schizzato del 55% (si veda il grafico seguente) e l’indice Dow che è rimbalzato di quasi il 63% nei suoi quattro anni a capo della banca centrale USA.

SPX Performance During Yellen's Fed Term

Grafico: la corsa dell’indice S&P 500 durante il mandato di Yellen alla presidenza della Fed

Dopo aver ricevuto il testimone dal suo predecessore Ben Bernanke, Yellen ha guidato in modo esperto la Fed verso l’obiettivo della rimozione della politica monetaria super accomodante nel tentativo di tornare ad una normalizzazione della stessa.

Anche se quasi due anni dopo la sua nomina, il 16 dicembre 2015 la Federal Reserve, guidata da Yellen, ha alzato il tasso di interesse di riferimento per la prima volta dal 2006, in quello che sarebbe stato il primo di cinque aumenti di 25 punti base effettuati prima della scadenza del suo mandato.

Sebbene la riduzione del programma di acquisti di stimolo sia iniziata nel dicembre 2013, poco prima che Yellen assumesse il ruolo, l’autorità monetaria ha annunciato la vera “fine” del programma di acquisti di bond solo nell’ottobre del 2014.

E tuttavia, il bilancio non è stato ridotto dal momento che i ricavi dei pagamenti del capitale e degli interessi sono stati reinvestiti. Nell’ambito del piano dell’allentamento monetario, i Buoni del Tesoro e le obbligazioni garantite da mutui posseduti sono schizzati da circa 800 miliardi di dollari alla fine del 2007 a 4,5 mila miliardi di dollari, con l’autorità monetaria in difficoltà nel portare l’economia americana su un sentiero stabile nel corso della crisi finanziaria.

Fed Balance Sheet

Bilancio della Fed in milioni di dollari. Fonte: Federal Reserve

Tuttavia, nel marzo 2017, la Fed ha indicato che avrebbe iniziato a ridimensionare il bilancio nel corso dell’anno, senza reinvestire più i proventi ed è stato solo lo scorso settembre che la prima donna al comando della banca centrale USA ha lanciato il piano per iniziare a ridurre le massicce proprietà della Fed ad ottobre.

La riduzione sarà però un processo lento e la fuoriuscita si stima che sarà di soli circa 300 miliardi nel 2018, pari a solo l’8,1% degli asset acquistati dalla crisi finanziari.

Powell prende il comando per annullare una politica monetaria “anormale”

Powell dovrebbe proseguire con il processo avviato da Yellen inasprendo gradualmente la politica monetaria. L’ormai ex governatore della Fed non ha mai dissentito in merito ad una decisione di politica monetaria da quando è entrato a farne parte nel 2012 ed è descritto come un tipo piuttosto cauto. Sono talmente alte le aspettative che Powell terrà fede all’eredità di Yellen che qualcuno a Wall Street lo chiama la “copia di Janet”.

Oltre a seguire i passi di Yellen, come si prevede, Powell sta ereditando un’economia già in salute ma con una posizione di politica monetaria che è lungi dall’essere “standard” e si ritrova con il difficile compito di tornare ad una normalizzazione dopo 10 anni di mercati abituati alla liquidità.

Le sommesse pressioni sui prezzi continuano a costituire un dilemma per la Fed, con l’inflazione dei compensi che delude le previsioni nonostante l’economia sembri essere se non del tutto ma almeno vicina alla piena occupazione.

In effetti, i capi della Fed di Chicago e Minneapolis, rispettivamente Charles Evans e Neel Kashkari, hanno votato a sfavore dell’ultimo aumento dei tassi a dicembre, affermando che l’inflazione dovrebbe avvicinarsi di più all’obiettivo del 2% prima di procedere con ulteriori inasprimenti.

Intanto, l’obiettivo finale della normalizzazione della politica monetaria non si vede ancora all’orizzonte. Il processo di riduzione del bilancio della Fed è in corso ma si calcola che ci vorranno parecchi anni al ritmo attuale, anche supponendo che non ci siano imprevisti lungo la strada. Anche se la Fed potrebbe svendere i titoli per velocizzare il ritmo, i mercati prevedono che la banca lascerà semplicemente che si estinguano alla maturità nell’ambito dell’attuale processo “graduale”.

Inoltre, i mercati sembrano non aver affatto dimenticato che l’attuale range dell’obiettivo del tasso Federal Funds è lungi dal rientrare nella sfera di una politica monetaria “normale”*. Le previsioni sui livelli futuri del tasso di interesse dall’attuale range compreso tra l’1,25% e l’1,50% continuano a mostrare quel range di 25 punti base tra il livello più alto e quello più basso, un risultato dell’intervento di politica monetaria del dicembre 2008.

*Con il termine “normale” ci riferiamo non solo all’obiettivo unico del tasso rispetto al range di 25 punti base, ma anche al fatto che, come si può notare dal grafico seguente, i tassi di interesse restano a livelli storicamente bassi.

Effective Fed Funds Rate 1955-2018

Dalle trascrizioni di quella storica discussione al cuore dell’autorità monetaria statunitense nove anni fa, emerge che il presidente della Fed di St. Louis James Bullard aveva espresso la propria opinione circa un eventuale ritorno alla normalizzazione dopo l’adozione del range:

“Una volta superata la crisi, possiamo cominciare a fissare di nuovo un obiettivo per i Federal Funds, magari impostando inizialmente un range per il tasso dei Federal Funds, per poi gradualmente tornare al regime di un obiettivo, che ritengo che in tempi normali sia un modo migliore per comunicare la politica monetaria”.

I cinque aumenti nel processo portano a chiedersi quando la Fed, ora guidata da Powell, riterrà che sono tornati “tempi normali”.

Sovra-comunicazione: il difetto fatale della Fed?

Infine, i mercati si sono probabilmente abituati ad aspettarsi una certa “sovra-comunicazione” da parte della Fed. Mentre i trader ancora analizzano con la lente di ingrandimento ogni dichiarazione della Fed, passando al setaccio il documento alla ricerca di minime variazioni del linguaggio che possano fornire maggiori indizi circa il futuro cammino della politica monetaria, la Fed ha deciso di telegrafare i veri cambiamenti dei tassi di interesse con largo anticipo, con i policymaker che forniscono chiare indicazioni circa le proprie intenzioni in quasi ogni occasione tra un vertice e l’altro.

Questo potrebbe essere il risultato della prima conferenza stampa post-vertice di Yellen nel marzo 2014, quando i mercati azionari sono crollati dopo aver interpretato le sue parole suggerendo che fosse imminente un inasprimento della politica monetaria. Yellen è sembrata aver “capito l’antifona” ed è diventata estremamente cauta nelle sue dichiarazioni pubbliche, mettendo al contempo in evidenza indizi espliciti per preparare i mercati alle mosse future.

Uno degli effetti di questa strategia si può notare nell’ultima serie di aumenti dei tassi, quando i future Fed Fund hanno alzato le probabilità di un aumento di 25 punti base ben al di sopra del 90% nei giorni precedenti ad ogni vertice, rendendo deludente l’effettivo annuncio.

Il prossimo aumento di 25 punti base è previsto per il vertice del 20 e 21 marzo e - se la storia dovesse ripetersi e salvo sorprese dai dati economici - le probabilità dovrebbero salire sempre più vicino al 100% man mano che ci si avvicina al vertice.

L’attenzione maggiore da parte della Fed sulle prospettive ha lasciato l’impronta sulle aspettative dei mercati. Il mercato dei future USA prevede ora circa quattro ulteriori aumenti fino al gennaio 2020, come nota il responsabile di strategie globali di PIMCO Gene Frieda in un recente post sul blog.

“È la prima volta da quando la Federal Reserve ha iniziato a pubblicare il suo “dot plot” (una previsione sul tasso a lungo termine) che le aspettative dei mercati sono in linea con quelle della Fed”, spiega.

Tuttavia, la Fed potrebbe anche essersi messa alle strette nel tentativo di telegrafare le sue intenzioni.

Nonostante i policymaker abbiano affermato il contrario, gli operatori dei mercati danno per scontato che la Fed possa fare una mossa solo in occasione di un vertice seguito da una conferenza stampa.

Finora, la banca centrale ha seguito fedelmente questo copione, limitandosi a solo quattro vertici - marzo, giugno, settembre e dicembre - degli otto tenuti ogni anno in cui può intervenire sulla politica monetaria senza sovvertire i mercati finanziari.

Sebbene questa scelta di sovra-comunicazione possa essere relativamente semplice da gestire nell’ambito di un graduale inasprimento finalizzato alla normalizzazione della politica monetaria, corre il rischio di diventare il difetto fatale della Fed quando la “normalità” farà il suo ritorno e la banca centrale si ritroverà ad affrontare la necessità di agire senza avere l’opportunità di offrire un’anteprima ai mercati.

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