Ci sarà un accordo OPEC nell’immediato futuro? “Sì” sembrava quasi certamente essere la risposta una settimana fa. Ora, tuttavia, l’esitazione della Russia a supportare i tagli alla produzione proposti dal suo alleato degli ultimi tre anni, l’Arabia Saudita, implica che la risposta probabilmente non è più tanto certa.
Dopo gli scambi di mezzogiorno sui mercati asiatici questo lunedì, il prezzo del greggio è rimasto in rosso dopo aver segnato la quinta settimana consecutiva al ribasso venerdì. Che la crisi del coronavirus cinese non faccia altro che peggiorare (con più di 900 morti e 40.000 contagiati al momento della scrittura) è già messo in conto dai mercati.
Tuttavia, i future del greggio USA e britannico, attivi negli scambi elettronici prima delle normali ore di scambio di lunedì, potrebbero facilmente riprendersi se Mosca dicesse sì al taglio di 600.000 barili al giorno di greggio proposto alla fine della settimana scorsa durante il vertice tecnico dell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di petrolio, guidata dai sauditi.
Ciò che i mercati hanno udito venerdì dal Ministro dell’Energia russo Alexander Novak è stato che il suo governo (o meglio, il Presidente Vladimir Putin), ha bisogno di più tempo per decidere se partecipare agli ulteriori tagli alla produzione proposti dall’OPEC perché c’è motivo di credere che la crescita della produzione petrolifera statunitense possa rallentare, mentre la domanda globale resta solida.
L’indecisione russa arriva proprio quando la domanda del principale acquirente, la Cina, si pensa possa scendere di centinaia di migliaia di barili al giorno per l’epidemia che ha praticamente paralizzato intere parti della sua economia, dai viaggi alla costruzione di automobili, tra le altre.
I tre giorni di vertice tecnico dell’OPEC terminati senza un accordo sui tagli alla produzione sono stati un’anticipazione del molto più importante vertice di due giorni che comincerà il 5 marzo e che vedrà protagonisti i ministri del petrolio e dell’energia dell’OPEC+, il gruppo allargato che comprende i 13 membri dell’OPEC ed i loro 10 alleati, tra cui la Russia.
Amena Bakr, vice presidente della Energy Intelligence, un servizio di consulenza sui mercati con sede a Dubai molto seguito dai trader del greggio, in un tweet di venerdì ha scritto che, secondo alcune speculazioni, la riunione di marzo potrebbe essere anticipata già al 14-15 febbraio, cioè prima di questo fine settimana.
Tuttavia, qualunque sia la data scelta, ai mercati importa cosa deciderà la Russia per quanto riguarda il numero di barili da ridurre.
Il Brent, il prezzo di riferimento del greggio scambiato a Londra, è crollato del 6,3% la scorsa settimana, attestandosi a 54,47 dollari al barile.
Il West Texas Intermediate scambiato a New York, il riferimento USA, ha registrato -2,4% chiudendo a 50,32 dollari.
Le perdite complessive su cinque settimane sono pari ad oltre il 22%, sia per il Brent che per il WTI, il che li porta in territorio ribassista.
Pesano le incertezze
Da ora al vertice dell’OPEC+, qualsiasi altra incertezza che emergerà dalla Russia circa la collaborazione con i sauditi potrebbe rischiare di spingere giù il mercato.
Gli orsi del greggio ed i loro computer saranno pronti a captare frasi come “aspettiamo e vediamo”, “è ancora presto per decidere” e “600.000 barili al giorno sembrano molti” da Novak ed altri funzionari russi, per convertirle in segnali “sell”.
O peggio, se il prossimo vertice dovesse passare senza alcun accordo su un taglio alla produzione, il Brent potrebbe seriamente rischiare di infrangere il livello di supporto di 50 dollari, mentre il WTI potrebbe scendere a 45 dollari o meno, dicono i trader.
“A meno che non si veda un taglio sufficientemente consistente da parte dell’OPEC, la curva forward del greggio si sposterà ancor di più in contango, incoraggiando le scorte di greggio ed un’ulteriore debolezza del prezzo”, spiega Tariq Zahir, della Tyche Capital Advisors a New York.
Il contango è una situazione dei mercati delle materie prime in cui il contratto con consegna il mese successivo è scambiato a meno rispetto ai contratti con consegna nei mesi seguenti. Il contango non avvantaggia i fondi che investono passivamente nelle materie prime. Questi fondi mantengono le loro posizioni spostandole da una consegna il mese successivo ad una più vicina. Questo passaggio, chiamato “roll” nel gergo dei mercati, comporta delle perdite quando il movimento coinvolge un contratto più costoso.
Negli scambi della mattinata asiatica di questo lunedì, il contango del Brent era di 46 centesimi per il mese successivo e di 22 centesimi per il WTI. Un aumento di questa cifra potrebbe risultare in un massiccio accumulo di greggio simile a quello visto nel periodo 2014-2016, con le persone che posseggono barili fisici che decidono di non farsi costringere a svendere la materia prima come dettato dai prezzi dei future.
E l’oro cosa fa?
Greggio a parte, che effetto ha la crisi del coronavirus sull’oro?
Sembra essere un’altra domanda incerta, con i future dell’oro che hanno registrato la prima perdita settimanale venerdì restando comunque sopra il livello chiave di 1.500 dollari l’oncia e creando un dilemma per gli investitori per quanto riguarda la direzione a breve termine del metallo giallo.
L’oro spot, che replica gli scambi dei lingotti, sale di 5,62 dollari, o dello 0,4%, a 1.572,18 dollari alle 14:40 ET (19:40 GMT). Su base settimanale, l’indicatore dei lingotti segna -1,1%, il primo calo in tre settimane.
I future dell’oro con consegna ad aprile sul COMEX a New York salgono di 3,40 dollari, o dello 0,2%, a 1.573, 40 dollari l’oncia, con un rialzo per il terzo giorno di fila. Ma, su base settimanale, l’oro con consegna ad aprile va giù dello 0,6%, scendendo per la prima volta in una settimana da metà dicembre, secondo i dati di Investing.com.
Il calo arriva al termine di una settimana relativamente altalenante per l’oro, tra le prese di profitto degli investitori sulla scia dei recenti guadagni, in seguito all’allentamento dei timori globali per il coronavirus.
Il prezzo dell’oro si è avvicinato al range dei 1.600 dollari all’inizio della scorsa settimana, quando gli investitori hanno inizialmente cominciato ad accumulare il metallo prezioso come rifugio dalla debolezza dei mercati globali.
“L’oro è ancora un rifugio dalle notizie politiche, economiche e dei mercati azionari che possono causare rapide inversioni”, spiega George Gero, analista dei metalli preziosi di RBC Wealth Management a New York.
“Aspettatevi che il range di trading di 1.550-1.600 dollari dell’oro continui”.