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La nuova media del greggio è uno stato di permanente instabilità del prezzo?

Pubblicato 15.01.2019, 13:07
Aggiornato 02.09.2020, 08:05

Goldman Sachs afferma che non si farà “raggirare” di nuovo sulle materie prime e raccomanda agli investitori di comprare il greggio nella ripresa di quest’anno, malgrado il plateale tonfo dell’anno scorso. Il Ministro per l’Energia saudita Khalid al-Falih, nel frattempo, sta facendo del suo meglio per guidare la carica rialzista sul greggio, promettendo di tagliare centinaia di migliaia di barili al giorno di scorte.

Dall’altra parte, troviamo l’esperto di strategie di Bloomberg Intelligence Mike McGlone, secondo cui il greggio USA West Texas Intermediate potrebbe restare nella “gabbia dei 50 dollari al barile” per un periodo prolungato, malgrado i prezzi più alti inseguiti dai tori. JPMorgan afferma inoltre che, sebbene i tagli alla produzione da parte dei produttori dell’OPEC+ possano aiutare i prezzi, l’aumento delle preoccupazioni per i macro-rischi globali derivanti dalla Cina e dal rallentamento della sua crescita limiterà qualsiasi supporto da parte delle correzioni sul fronte delle scorte.

Intanto, JBC Energy mette in guardia da un’altra impennata della produzione statunitense che potrebbe neutralizzare i tagli sauditi, prevedendo che la produzione di petrolio da scisto potrebbe raggiungere nuovi massimi storici “significativamente al di sopra dei 12 milioni di barili al giorno” questo mese.

La verità, secondo la newyorkese Energy Intelligence, potrebbe trovarsi nel mezzo tra tutte queste opinioni.

Le compagnie petrolifere affrontano una sgradita realtà nel 2019

In un’analisi pluridimensionale sugli imprevisti della produzione di energia, del commercio e dei consumi, l’editore di Petroleum Intelligence Weekly afferma che vari cambi strutturali all’interno del greggio hanno reso quasi impossibile prevedere trend o prezzi con certezza. Aggiunge Energy Intelligence:

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“Dopo aver barcollato per l’improvviso crollo di quasi il 40% dei prezzi del greggio alla fine dello scorso anno, le compagnie petrolifere si ritrovano ad affrontare una sgradita realtà nel 2019”.

“Anziché prezzi prevedibili o lenti e lineari cambiamenti, le aziende si trovano davanti alla prospettiva di inversioni in cicli più brevi e più rapidi, una realtà che le costringerà a restare conservatrici per quanto riguarda le spese e a trattare ogni ripresa dei prezzi come un sollievo gradito ma probabilmente temporaneo”.

WTI Weekly Chart

Definendo il fenomeno “un nuovo stato di permanente instabilità”, l’agenzia afferma che i prezzi del greggio sembrano rinchiusi in un ampio range che va da 50 a 80 dollari al barile nell’anno di scambi. Sebbene siano numerosi i fattori responsabili di queste forti oscillazioni, il principale sembra essere lo scisto USA, che ha sovvertito la capacità del settore di prevedere le scorte e valutare le necessità degli investitori.

Afferma Energy Intelligence:

“Lo scisto apporta regolarmente più greggio sul mercato rispetto al previsto, ha posto un tetto sui prezzi del greggio e ha reso estremamente difficile per l’OPEC agire come forza stabilizzatrice. Ma se la risorsa dovesse improvvisamente cominciare ad avere una performance inferiore e il settore non avesse effettuato investimenti sufficienti su fonti alternative, i prezzi potrebbero schizzare accollando ai produttori la sfida di cercare di risolvere la carenza di scorte con risorse che richiedono orizzonti di investimento più lunghi”.

I produttori petroliferi internazionali l’anno scorso speravano che le richieste degli investitori di una disciplina tra le compagnie USA concedessero loro una tregua dalla pioggia di barili che lo scisto ha portato incessantemente sul mercato.

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La produzione di scisto rallenterà quest’anno?

Ma la tregua non c’è stata e la produzione petrolifera USA è, al contrario, schizzata nella seconda metà dell’anno, facendo sorgere la domanda: la disciplina è un limite irrilevante per lo scisto?

Aggiunge Energy Intelligence:

“Anche se i produttori USA quotati in borsa hanno regolarmente sborsato enormi somme per ricomprare azioni piuttosto che investire il denaro extra nell’aumento della crescita, molti hanno permesso ai loro bilanci di aumentare durante l’anno, usando la ripresa dei prezzi del greggio nella seconda metà del 2018 per coprire la differenza.

“Il vero banco di prova sarà quest’anno, se i prezzi del greggio USA resteranno vicini all’attuale livello di 50 dollari. Allineare la spesa con i flussi di cassa abbattuti dal greggio a 50 dollari per la maggior parte dei produttori significherà rinunciare alle aspirazioni di una crescita significativa”.

Finora le compagne di trivellazione e produzione hanno fatto solo promesse, con Diamondback Energy (NASDAQ:FANG), Parsley (NYSE:PE) e Centennial Resource Development (NASDAQ:CDEV) - tutti importanti operatori del bacino Permiano - che hanno indicato che rallenteranno la loro attività quest’anno.

Ma anche se dovessero attenersi alla disciplina, questa potrebbe non essere un fattore tanto limitante come pensa qualcuno, spiega Energy Intelligence, notando che parte della crescita della produzione del 2019 è già stata pagata dagli operatori nel 2018.

Citando i dati di IHS Markit, un’altra agenzia, Energy Intelligence afferma:

“A livello dell’intero settore, il numero dei cosiddetti DUC (pozzi petroliferi trivellati ma incompleti) nel bacino Permiano ha raggiunto nuovi record mese dopo mese, con il costo per il loro completamento che dovrebbe restare stabile o scendere in quanto la concorrenza tra le compagnie di servizi pone pressioni ribassiste sui prezzi per i servizi legati alle sabbie bituminose e al fracking. Inoltre, ci vorrà un anno o più solo per completare gli oltre 4.000 DUC che il settore ha in mente”.

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Dal “picco del greggio” agli “algoritmi”, le sfide continuano

E poi c’è il rischio intermittente del “picco della domanda di greggio”, legato all’eventualità che i bisogni e la produzione di fonti di energia fossile siano rimpiazzati dalle rinnovabili; la “bomba a orologeria” ticchettante di Venezuela e Libia, due produttori OPEC un tempo solidi come una roccia che ora si trovano in un perpetuo stato di crisi; e i timori di un rallentamento, o persino una recessione, in Cina quest’anno, che potrebbe seriamente mettere a repentaglio la domanda energetica globale, dato che il paese è il principale consumatore di greggio al mondo.

Infine, a completare tutte queste considerazioni troviamo la “finanziarizzazione” del greggio, scrive Energy Intelligence, in cui l’influenza delle agenzie di trading ad algoritmo con “scatola nera” e i trader energetici non specializzati espongono posizioni sul greggio a programmi di investimento o sentimenti più ampi che sono scollegati dai fondamentali fisici del greggio.

L’agenzia di ricerche fa notare che il numero medio di contratti aperti sui tre principali contratti dei future del greggio (—ICE Brent, NYMEX WTI e ICE WTI) è salito del 40% negli ultimi cinque anni e del 127% nell’ultimo decennio.

Ma i cambiamenti in queste stesse posizioni non comportano movimenti di prezzo sconvolgenti, rivelando un’altra svolta. Afferma Energy Intelligence:

“Lo stesso numero di contratti long è stato ridotto tra maggio e agosto l’anno scorso e tra ottobre e dicembre, ma i prezzi sono scesi rispettivamente di 6 dollari e di 35 dollari. La grande differenza è che l’uscita di fine 2018 è coincisa con numerosi altri fattori, tra cui le sanzioni iraniane meno dure del previsto e l’aumento delle preoccupazioni macroeconomiche”.

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