Come previsto, alla riunione di questo mese la Federal Reserve (Fed) ha mantenuto la sua impostazione accomodante; il presidente Jerome Powell ha dipinto un quadro economico cupo, osservando che l’economia globale si trova davanti alla più grave recessione delle nostre vite, che il corso futuro è “straordinariamente incerto” e che gli ultimi dati lasciano presagire un ritmo più lento per la ripresa. Gli investitori hanno sentito solo che sono in arrivo altri stimoli.
Siamo tornati ai giorni in cui i dati economici negativi vengono interpretati come buone notizie dal mercato, perché il deterioramento delle condizioni finanziarie si traduce in altri stimoli monetari e fiscali e in una fase più lunga di liquidità a buon mercato, che non può che tradursi in un ulteriore rigonfiamento dei corsi azionari.
L’ironia è che i dati sul PIL USA dovrebbero confermare un tracollo pari quasi al 35% nel secondo trimestre e che il peggior rilevamento sul PIL mai registrato finora potrebbe avere un ulteriore effetto propulsivo sulle borse USA e globali.
Il Dow Jones (+0,61%), l’S&P 500 (+1,24%) e il Nasdaq (+1,35%) hanno guadagnato sull’onda della Fed colomba, intanto i legislatori USA hanno annunciato che repubblicani e democratici non sono ancora pronti a un’intesa sul prossimo pacchetto di stimoli fiscali. Noi crediamo, tuttavia, che presto vedrà la luce un accordo su aiuti per 1,5-2 mila miliardi di dollari.
Nel frattempo, gli utili riferiti al secondo trimestre divulgati ieri sono stati disomogenei e i CEO dei giganti della tecnologia USA hanno testimoniato di fronte al Congresso sulle loro pratiche discutibili per sradicare la concorrenza nel settore. L’attenzione degli investitori rimane comunque puntata sulla performance finanziaria di queste società durante la crisi del Covid e non tanto sulle accuse di anti-trust, in mancanza di notizie concrete che potrebbero intaccare i profitti.
In Asia il sentiment è stato per lo più positivo. A Hong Kong (+1,05%) e in China (+0,50%) le borse hanno guadagnato, come pure l’ASX 200 (+0,74%), invece il Nikkei (-0,12%) non è riuscito a consolidare i rialzi, nonostante i dati sulle vendite al dettaglio di giugno molto superiori alle attese.
I prezzi del petrolio sono rimasti stabili intorno ai $41 al barile, malgrado l’annuncio del calo inaspettato, pari a 10 milioni di barili, nelle scorte di petrolio USA la scorsa settimana. Sui mercati petroliferi c’è la netta sensazione di aver toccato il massimo, e la titubanza nel portare i prezzi più in alto potrebbe innescare un ritracciamento sotto i $40 al barile. Le prospettive di una ripresa economica più lenta e la fretta dell’OPEC di ridimensionare i tagli alla produzione segnalano che le dinamiche della domanda e dell’offerta non sostengono altri rialzi di breve termine sui mercati petroliferi.
Il dollaro USA continua a non essere amato perché la Fed colomba genera pressioni inflazionistiche. I rendimenti dei titoli del Tesoro USA rimangono su livelli sommessi.
Le aspettative di un aumento dell’inflazione negli USA significa che anche il più piccolo incremento spingerebbe i rendimenti reali a livelli negativi, ove ancora non si è arrivati a questo punto. Il contesto di tassi reali pari a zero o negativi continua dunque a fornire un solido supporto all’oro. Il metallo giallo trova acquirenti sotto i $1950 all’oncia.
L’EUR/USD testa le offerte a 1,18 sulla scia dell’indebolimento dell’USD. I dati sul PIL tedesco dovrebbero mostrare una flessione del 9% nel secondo trimestre. Tuttavia, poiché il cataclisma nella performance economica del secondo trimestre è già stato messo in conto, il peggior rilevamento sul PIL nella storia non dovrebbe avere un impatto degno di nota sugli umori del mercato, posto che la cifra sia in linea con le attese del mercato.
Il cable flirta con la resistenza a 1,30 per effetto dell’USD debole. Le preoccupazioni per una Brexit senza accordo potrebbero frenare il potenziale al rialzo della sterlina, ma probabilmente non fermeranno l’ascesa contro il biglietto verde nel breve termine.