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Possibili timori per l’eccesso di scorte di greggio; oro in range stretto

Pubblicato 30.09.2019, 16:56
Aggiornato 02.09.2020, 08:05

Possibili timori per l’eccesso di scorte di greggio; oro in range stretto

Due settimane fa vi avevo avvertiti che, nel caso vi steste affrettando verso greggio per il rialzo geopolitico dovuto all’attacco in Arabia Saudita, avreste fatto bene a ricordare gli enormi rischi presenti da entrambi i lati dell’impennata.

Sebbene a posteriori questa previsione si sia dimostrata esatta, ciò che ci ha sorpreso è stato il collasso di quasi tutti i fattori rialzisti sul mercato nel giro di soli 10 giorni.

All’attestazione di venerdì, il greggio USA West Texas Intermediate si trovava a 55,91 dollari al barile. Il britannico Brent ha chiuso a 61,91 dollari.

WTI 60-Min Chart - Powered by TradingView

Sulla settimana, entrambi i riferimenti hanno perso quasi il 4%, con il WTI che ha registrato la perdita maggiore dalla settimana terminata il 14 luglio ed il Brent che ha visto il tonfo più ripido dalla settimana conclusasi il 4 agosto. Ancor più sconvolgente è stato il fatto che il greggio USA si sia attestato a solo circa un dollaro più su del livello a cui si trovava prima dell’attacco del 14 settembre, mentre il riferimento britannico è scambiato a poco meno di 2 dollari.

La più grande crisi delle forniture di greggio che si è rivelata non essere tale

Quella che sarebbe potenzialmente stata la più grande crisi delle forniture di greggio in quasi 50 anni, eliminando il 5% della produzione petrolifera giornaliera mondiale, è stata avvertita appena come una crisi dai mercati.

All’inizio di un’altra settimana, qualunque rialzo legato al rischio rimasto sul mercato potrebbe svanire, man mano che le paure iniziali per l’attacco continueranno a diminuire.

La maggior parte dei timori erano legati a Saudi Aramco ed alla tempistica ed alla quantità della perdita di produzione subita per via dell’attacco all’enorme impianto di lavorazione di Abqaiq, che produce 5,7 milioni di barili al giorno.

Ma la compagnia statale saudita ora afferma che neanche un barile di greggio delle sue consegne ai clienti subirà gli effetti dell’attacco. Ha spiegato di aver risolto tutti i danni agli oleodotti di Abqaiq in meno di due settimane e che la struttura è tornata completamente in funzione.

Nel tentativo di riportare l’attenzione dei mercati sui suoi sforzi per lanciare la più grande vendita di azioni al mondo, Aramco ha aggiunto che la produzione petrolifera saudita nel complesso è ora molto superiore rispetto a prima dell’attacco del 14 settembre.

Rischio per le forniture: sotto controllo.

Ridotto anche il rischio di guerra, il greggio diventa più “sell” che “buy”

L’altra maggiore preoccupazione era se gli Stati Uniti avrebbero appoggiato l’Arabia Saudita con un’offensiva militare contro l’Iran, a cui entrambi i paesi attribuiscono la responsabilità dell’attacco.

I ribelli Huthi dello Yemen hanno rivendicato l’attacco del 14 settembre ma alcune potenze occidentali, tra cui Francia, Regno Unito e Germania, ne danno la colpa all’Iran, che ha smentito le accuse.

Il principe ereditario saudita in un’intervista trasmessa ieri ha avvertito che i prezzi del greggio potrebbero schizzare a “cifre alte a livelli inimmaginabili” se il mondo non dovesse unire le forze contro l’Iran. Ma ha aggiunto che preferirebbe una soluzione politica ad una militare.

I ribelli Huthi sabato hanno reso noto di aver effettuato un attacco vicino al confine yemenita con la regione saudita meridionale di Najran e di aver sequestrato truppe e veicoli. Ma non ci sono state conferme immediate da parte delle autorità saudite.

Tuttavia venerdì sono emerse voci secondo cui l’Arabia Saudita accetterebbe una tregua nello Yemen, dove sta combattendo contro gli Huthi da quattro anni.

La pace nello Yemen, il punto focale delle tensioni in Medio Oriente che ha catturato persino più attenzione negli ultimi anni rispetto al conflitto israelo-palestinese, potrebbe comportare un rialzo legato al rischio molto minore per il greggio, facendo scendere ancor di più il prezzo.

Il Presidente USA Donald Trump ha più volte ribadito di non avere alcuna intenzione di entrare in guerra con l’Iran ed ha annunciato solo delle sanzioni più severe contro la nazione dopo l’attacco. I problemi politici di Trump in patria, con l’inizio della procedura ufficiale di impeachment da parte dei rivali Democratici al Congresso, lo terranno occupato nei prossimi mesi, lasciandogli poco tempo per pensare all’Iran.

Rischio di guerra: sotto controllo

Riflettori sulle scorte in eccesso

Con le forniture e la sicurezza del greggio sotto controllo, potrebbero sorgere nuovamente i timori di un eccesso della materia prima, riportando i trader alla situazione in cui si trovavano solo poche settimane fa.

Dominick Chirichella, direttore del rischio e del trading dell’Energy Management Institute di New York, afferma:

“All’inizio di una nuova settimana di scambi, il mercato torna a concentrarsi sul greggio in esubero a livello globale, nelle aspettative che il rischio in Medio Oriente continui a diminuire sul breve termine”.

I riflettori questa settimana sono puntati anche su un potenziale sciopero dei lavoratori della raffineria Phillips 66 (NYSE:PSX) Bayway in New Jersey. La data di scadenza per un nuovo contratto è domani e l’esito potrebbe pesare sui prezzi del greggio, specialmente in assenza di un accordo.

Il prezzo della benzina è salito venerdì in previsione di una stretta delle forniture, mentre i prezzi del greggio hanno peggiorato il calo nei timori di una chiusura della raffineria. Storicamente, però, durante gli scioperi delle raffinerie negli Stati Uniti, gli impianti vengono mantenuti in attività dalla gestione e dai lavoratori non appartenenti ai sindacati.

Si torna allo scontro commerciale, sia per il greggio che per l’oro

Ultimo ma non ultimo, c’è lo scontro commerciale tra USA e Cina, entrato in una nuova dimensione dopo le notizie di venerdì secondo cui il governo Trump starebbe pensando di limitare i flussi dei portafogli di investimento in Cina.

Il governo statunitense starebbe inoltre prendendo in considerazione il delisting delle compagnie cinesi dalle piazze locali e dei limiti sulle compagnie cinesi incluse in indici azionari gestiti da compagnie americane, secondo le notizie.

La tempistica di simili azioni da parte degli Stati Uniti è sospetta, in quanto arrivano proprio quando i due paesi si preparano a tornare al tavolo delle trattative il 10 ottobre. La Casa Bianca non ha subito reagito alle notizie.

Per quanto riguarda l’oro, l’investimento rifugio potrebbe tornare al supporto di 1.500 dollari l’oncia questa settimana se i rapporti USA-Cina dovessero peggiorare. Negli scambi di questo lunedì mattina, sia i future dell’oro sul Comex del New York Mercantile Exchange che l’oro spot, che rispecchia gli scambi di lingotti, si trovano poco al di sotto di questo livello.

C’è una sensazione di deja-vu nei confronti del metallo prezioso, con i long sul mercato quasi rassegnati all’idea che sarà intrappolato nel range dei 1.500-1.550 dollari per un po’ mentre viene scambiato su fattori neutrali.

Gli short-seller, intanto, scommettono che il mercato scenderà a 1.480 dollari per poi toccare i 1.420 dollari, se venisse infranto il prossimo grande supporto di 1.450 dollari. Tuttavia, qualcuno dei long sospetta che il range dei 1.500-1.550 dollari sarà difficile da infrangere.

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