Se fossimo nel mondo del cinema, i due concorrerebbero per i premi Razzie, assegnati alle peggiori performance. Ed è difficile scegliere un vincitore tra i due, che hanno performance equamente imbarazzanti.
Stiamo parlando di Wall Street e del greggio.
Il mercato azionario viene pompato dagli steroidi USA-Cina, sperando di allungare in qualche modo la sua misteriosa serie di massimi storici fino a Capodanno, grazie ad un accordo commerciale di cui nessuno conosce la tempistica né può quantificarlo.
Anche il mercato del greggio sta prendendo in prestito un po’ di questo abracadabra dell’accordo commerciale. Ma, soprattutto, sta contando sulla storia dello scisto raccontata dall’OPEC che maschera l’inadeguatezza della domanda del cartello stesso.
Ignorate le fonti di dati verificate
Peggio ancora, nel seguire la storia dell’OPEC, i trader del greggio stanno virtualmente ignorando le impennate delle scorte settimanali di greggio USA e la produzione ai massimi storici riportata dalla Energy Information Administration.
Sebbene qualcuno contesti la sua metodologia, l’EIA produce comunque dati con una reputazione globale di trasparenza che l’OPEC può solo sognare.
John Kilduff, socio fondatore dell’hedge fund di energetici Again Capital a New York, afferma:
“Sono tempi strani, sia a Wall Street che sul mercato del greggio. Le borse sono in salita, inseguendo la pia illusione di un accordo commerciale. Il greggio sta sfidando i fondamentali che puntano ad almeno 5 dollari in meno al barile”.
Ieri l’indice S&P 500, che sta registrando massimi storici quasi un giorno sì e uno no ultimamente, ha raggiunto un nuovo picco di chiusura a poco meno di 3.097. Sebbene questa pietra miliare sia stata raggiunta senza alcun dramma, gli altri maggiori indici (il NASDAQ ed il Dow) hanno incontrato difficoltà durante la giornata.
Il fattore che investitori, trader e computer volevano era un accordo commerciale con la Cina. Ma non c’è stato. Al contrario, gli investitori hanno dovuto fare i conti con gli sviluppi deludenti di colossi del tech come Cisco Systems (NASDAQ:CSCO) ed Apple (NASDAQ:AAPL).
Due settimane dopo che la Casa Bianca aveva trionfalmente annunciato che ci sarà un accordo di fase uno ed una serie di accordi minori per portare a conclusione l’aspra disputa di 16 mesi tra Stati Uniti e Cina, non è ancora stato raggiunto alcun tipo di patto.
Le questioni critiche al momento sembrano essere quanto la Cina spenderà in prodotti agricoli USA e quando e come i dazi applicati all’inizio dell’anno (e che probabilmente saranno aumentati il mese prossimo) verranno annullati.
Entrambe le parti inclini a mantenere i mercati “su di giri” nella speranza di un accordo
Fino a ieri, nessuno del governo Trump né di quello di Xi Jinping ha segnalato dei chiarimenti circa la tempistica dell’accordo.
Ma, data la propensione di entrambe le parti a mantenere i propri mercati azionari “su di giri” nella speranza di un accordo, potrebbe essere in arrivo una dichiarazione oggi da Washington o da Pechino, o persino da entrambe le capitali, in cui si afferma che i negoziatori hanno - di nuovo - trovato un’intesa sulle principali divergenze e sono “vicini” - magari incredibilmente vicini - alla firma di un accordo.
Per quanto riguarda il greggio, i prezzi sono scesi in modo modesto ieri malgrado i dati settimanali ribassisti dell’EIA. La chiusura pressoché invariata è arrivata con l’OPEC che ha abilmente spostato l’attenzione dei mercati dalla domanda debole per il suo greggio suggerendo che la produzione di scisto USA potrebbe crollare oltre le aspettative.
Secondo l’OPEC ci sarà un surplus minore sul mercato del greggio il prossimo anno, anche se si aspetta ancora che la domanda per il suo greggio scenda con i rivali che pompano di più.
Il Segretario Generale dell’OPEC Mohammad Barkindo ha inoltre dichiarato mercoledì che probabilmente ci saranno revisioni al ribasso delle scorte nel 2020, in particolare dello scisto USA.
È vero che l’idea di una frenata dello scisto sta crescendo, con il minimo di 30 mesi del numero degli impianti di trivellazione USA attivi ed altri dolorosi sviluppi come il tracollo finanziario di Chesapeake Energy. Sebbene sia principalmente un produttore di gas naturale, la compagnia è uno dei pionieri della rivoluzione del fracking USA che ha fatto nascere lo scisto.
Per avere un quadro migliore della situazione, pensiamo che il settore upstream USA ha circa il 55% di impianti di trivellazione in meno rispetto ai 1.609 impiegati durante i picchi dell’ottobre 2014. Ma sta producendo circa il 40% in più di cinque anni fa, secondo l’EIA.
Ieri, l’EIA ha reso noto che la produzione ha segnato un nuovo massimo storico di 12,8 milioni di barili al giorno. In altri dati sulle previsioni energetiche a breve termine pubblicati il giorno prima, ha affermato che si aspetta una media al massimo storico di 13 milioni di barili al giorno a novembre. Per il 2020, ha alzato le previsioni sulla produzione ad una media di 13,29 milioni di barili al giorno dai precedenti 13,17 milioni di barili al giorno.
L’EIA accetta di discutere la metodologia
La situazione di pochi impianti in confronto ad una maggiore produzione petrolifera è uno dei fattori che ha mantenuto il greggio USA West Texas Intermediate sotto i 60 dollari al barile ed il suo rivale globale, il londinese Brent, sotto i 70 dollari per la maggior parte dell’anno.
È una statistica a cui si oppongono fortemente i tori del greggio, che hanno chiesto nelle ultime settimane che l’EIA cambi la propria metodologia o spieghi meglio come fa ad elaborare stime tanto alte quando il numero degli impianti sta crollando.
Secondo voci di corridoio del settore, l’agenzia avrebbe accettato di tenere altre discussioni per promuovere la trasparenza dei dati.
Ma l’OPEC vuole che la debolezza dello scisto sia al centro della scena
L’OPEC, avvertendo il cambiamento dell’umore dei mercati nei confronti dello scisto, ha cominciato a trattare il rivale dall’alto in basso. E la strategia sembra stare funzionando.
Questa settimana, il Segretario Generale dell’OPEC Barkindo ha riferito alla CNBC che, dopo aver parlato con “numerosi produttori, soprattutto nel bacino dello scisto, tra di essi serpeggiano crescenti timori che il rallentamento si stia trasformando in una rapida decelerazione”.
Barkindo ha aggiunto che queste compagnie “ci dicono che probabilmente siamo più ottimisti di loro, considerata la varietà degli ostacoli che si ritrovano ad affrontare”.
In realtà, quello su cui l’OPEC dovrebbe concentrarsi è la persistente sovrapproduzione da parte di pecore nere come Nigeria ed Iraq (nonché dell’alleato non membro, la Russia) che rendono difficile al leader di fatto del cartello, l’Arabia Saudita, attenersi al patto di tagli per 1,2 milioni di barili al giorno concordato quasi un anno fa.
Con la mega vendita del titolo della compagnia petrolifera statale saudita Aramco oramai dietro l’angolo, il regno preferisce mantenere l’attuale patto sulla produzione e cercare in qualche modo di tenere i prezzi alti, senza effettuare tagli più profondi.
È una storia che i trader del greggio, ovviamente, conoscono: quando l’OPEC si incontrerà a dicembre, molto probabilmente non ci saranno nuovi tagli. Ma, se ciò diventasse un mantra in questo momento, potrebbe pesare sui prezzi, soprattutto in assenza di un accordo commerciale USA-Cina. Perciò l’OPEC tenta di sminuire lo scisto, e i mercati ci credono.
La collaboratrice di Investing.com Ellen R. Wald ieri ha sollevato la questione del perché il mercato potrebbe stare interpretando male lo scisto:
“Un’altra questione che i trader devono considerare è se le compagnie di scisto stiano esagerando o meno nell’esprimere i loro timori per la crescita. Potrebbe trattarsi di una tattica mirata a far abbassare le aspettative degli analisti, così che quando le compagnie riveleranno gli utili del quarto trimestre il prezzo del loro titolo non scenda troppo”.
La scorsa settimana abbiamo scritto che, se un accordo commerciale è veramente in arrivo, sarà meglio per il greggio che arrivi presto. Altrimenti, la routine dei mercati che si aggrappano ad una storia rialzista senza alcuna speranza sarebbe davvero troppo imbarazzante.