Di Mauro Speranza
Investing.com – Dopo il rinvio del vertice dell'Opec a giovedì 9 aprile, proseguono le trattative tra i paesi produttori per arrivare ad un accordo sul taglio della produzione di petrolio.
L'agenzia di stampa 'Sputnik' scrive che “al momento non c'è alcun consenso” tra Russia e Arabia Saudita, dopo che i due “non hanno ridotto i propri ritmi produttivi”, pertanto è difficile fare previsioni, anche se “tutto sarà deciso alla riunione del 9 aprile”.
La fonte citata dall'agenzia russa spiega che è stata redatta “una bozza di accordo già da ieri”, dopo che alcuni paesi “avrebbero accettato la proposta già dall'inizio, ma non si è potuto procedere a causa dell'Arabia Saudita che non si è detta d'accordo con le quote assegnate ai vari paesi”.
La notizia arriva dopo che ieri la Reuters scriveva che il raggiungimento dell'accordo è comunque subordinato ad un taglio della produzione da parte degli USA. "Senza gli Stati Uniti, non c'è nessun accordo", spiegava una fonte dell'agenzia.
Gli Stati Uniti non si sono impegnati in alcun accordo, anche che, secondo il presidente americano Donald Trump, i produttori americani potrebbere togliere dal mercato il 10-15 per cento dell'offerta mondiale. A complicare la situazione, però, resta la condizione di libera concorrenza all'interno della quale operano i produttori statunitensi, impedendo la decisione dall'alto come avviene in altri paesi.
Inoltre, le stesse società petrolifere USA non sono tutte d'accordo nell'effettuare questi tagli alla produzione, nonostante l'intervento di Trump che ha incontrato personalmente molte di queste.
"Lo stesso Trump non vuole che gli Stati Uniti riducano in modo significativo la produzione, perché così facendo non si andrebbe nella direzione della sua narrativa ispirata al 'Make America Great Again' o dei suoi ultimi commenti sulla necessità di tutelare l'industria petrolifera statunitense e i relativi posti di lavoro. E tutto questo per Trump non funziona nemmeno a un livello politico più micro dato che, tra i primi 10 stati produttori di petrolio, tutti tranne la California sono per lui potenziali serbatoi di voti in vista delle elezioni di novembre", spiega Ben Jones, multi-asset class strategist, State Street Global Markets .
Dopo una mattina in crescita con percentuali che hanno toccato anche il 3%, i prezzi del petrolio hanno ridotto gli acquisti, mantenendo un trend rialzista. Il greggio viene scambiato a 26,40 dollari, mentre il Brent è salito a 33,64 dollari al barile.
Le previsioni di lungo termine sul petrolio a cura di Morningstar
Gli esperti di Morningstar prevedono un impatto limitato del coronavirus sul prezzo del petrolio. “Nel lungo termine riteniamo che la domanda di petrolio non sarà influenzata dal coronavirus. Ipotizziamo, infatti, una ripresa economica pressoché completa e manteniamo le nostre stime del barile rispettivamente pari a 55 dollari per il WTI e a 60 dollari per il Brent. Vediamo inoltre enormi opportunità nel settore energia (ora scambiato a un tasso di sconto del 49% rispetto al fair value medio) nonostante il calo dei ricavi previsto nel 2020 e nel 2021”, spiegano gli esperti dell'istituto.
Inoltre, proseguono questi analisti, “senza un rimbalzo del prezzo del petrolio i produttori non avranno alcun incentivo ad aumentare la loro produzione e questo produrrà una contrazione dell’offerta che potrebbe alla fine trasformare l'attuale surplus in una carenza di greggio sul mercato. I produttori americani di shale oil riescono a mantenere costi di produzione molto più contenuti rispetto alle grandi compagnie oil & gas, per questo motivo ci aspettiamo che saranno loro a raggiungere con più facilità il break-even”.