L’indebolimento del dollaro sembra temporaneo e i relativi vantaggi sul debito emergente sono da soppesare attentamente, paese per paese. Resta favorevole il trend sui corporate bond
LA GARANZIA RAPPRESENTATA DALLA FED
Julian Howard, Lead Investment Director, Multi Asset Portfolios di GAM Investments, non crede che la correzione del 10,4% nell’indice del dollaro dal 20 marzo al 31 agosto sia la prova dell’imminente fine del dollaro come principale valuta di riserva al mondo, e dello status di superpotenza dell’America. Secondo l’esperto di GAM, proprio una Fed rispettata perché indipendente e pronta a contrastare le interferenze politiche gioca a favore del dollaro. Il recente declino del dollaro è modesto rispetto agli standard storici e secondo Howard si spiega meglio con le forze di mercato a breve termine, in particolare con i differenziali dei tassi di interesse: un anno fa il Treasury USA a 10 anni offriva oltre il 2% in più del bund tedesco corrispondente e un euro valeva solo 1,10 dollari, oggi lo stesso Treasury rende solo l’1% circa di rendimento in più rispetto al Bund e di conseguenza un euro vale quasi 1,20 dollari. Howard nell’articolo GAM non crede alla “fine del dollaro”: ecco perché nota anche che la Fed, nonostante la recente svolta sull’inflazione, si è fermata prima di una piena “europeizzazione”, escludendo fermamente i tassi di interesse negativi. Per questo un po’ più di debolezza del dollaro potrebbe essere possibile, ma se la BCE persegue una politica dei tassi negativi ancor più profonda allora i differenziali si ribalteranno a favore del Treasury e del dollaro...
** Il presente articolo è stato redatto da FinanciaLounge