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Eni-Shell, processo tangenti: unica parte civile resta Nigeria

Pubblicato 20.07.2018, 16:09
Aggiornato 20.07.2018, 16:10
© Reuters. Eni's logo is seen in front of its headquarters in San Donato Milanese

MILANO (Reuters) - La Nigeria è l'unica parte civile che è stata ammessa stamane dai giudici della settima sezione penale del Tribunale di Milano, davanti ai quali si celebra il processo sulle presunte tangenti Eni (MI:ENI) e Shell per il giacimento perolifero africano Opl 245.

Il collegio giudicante ha infatti escluso tutte le altre aspiranti parti civili, fra le quali alcune ong come Global Witness, Assoconsum, Heda, Re Common e Corner House.

Eni e Shell, che nel processo sono già imputate come persone giuridiche in base alla legge 231, alla prossima udienza del 18 settembre potranno costituirsi per opporsi alla citazione disposta dal Tribunale su richiesta dell'avvocato Lucio Lucia, che rappresenta il governo federale nigeriano.

IL PROCESSO PRINCIPALE E QUELLO IN ABBREVIATO

Nel processo, oltre a Eni e Shell, sono imputate altre 13 persone, fra le quali l'AD Claudio Descalzi (nella sua veste, all'epoca dei fatti, di direttore generale della divisione Exploration e Production), l'ex AD Paolo Scaroni e l'ex presidente della Shell Foundation ed ex direttore esecutivo per esplorazione e produzione di Shell, Malcolm Brinded.

Il capo di imputazione principale è corruzione internazionale. L'accusa, sostenuta dai pm coordinati dal procuratore aggiunto Fabio De Pasquale, ipotizza il pagamento di tangenti per 1,092 miliardi di dollari su 1,3 miliardi di dollari versati nel 2011 da Eni e Shell su un conto del governo nigeriano per l'acquisto della licenza per l'esplorazione del campo petrolifero Opl-245 in Nigeria. Il periodo dei fatti contestati va dall'autunno 2009 al 2 maggio 2014.

Tutti gli imputati hanno sempre respinto le accuse, sottolineando che il prezzo dell'acquisto fu versato su un conto ufficiale del governo di Lagos, e che il successivo trasferimento di gran parte del denaro su altri conti, in particolare su quello della società Malabu (che la procura indica appartenere all'ex ministro del Petrolio Dan Etete, fra gli imputati), era al di fuori della sfera d'influenza delle società acquirenti. Eni al momento del rinvio a giudizio ha emesso una nota in cui il Cda ribadiva la massima fiducia nella correttezza della società e del suo AD e della loro "estraneità a condotte corruttive anche in base a verifiche svolte da consulenti indipendenti". Shell parimenti, nella stessa occasione, ha espresso fiducia "che i giudici accerteranno l'insussistenza delle accuse".

Sulla stessa vicenda nigeriana, in un procedimento separato col rito abbreviato (cioè direttamente in udienza preliminare, a porte chiuse, invece che in un dibattimento pubblico di rito ordinario), che dà diritto alla riduzione di un terzo della pena edittale massima, la procura ha chiesto la condanna a cinque anni di reclusione di Obi Emeka e Gianluca Di Nardo, ritenuti dall'accusa fra i mediatori della presunta corruzione.

I due imputati hanno sempre respinto le accuse. La sentenza del Gup Giusy Barbara è attesa per la prossima udienza, il 20 settembre.

© Reuters. Eni's logo is seen in front of its headquarters in San Donato Milanese

(Emilio Parodi)

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