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INSIGHT - Dilemma insolubile? Il mondo osserva l'Italia mentre le aziende chiedono di riaprire

Pubblicato 08.04.2020, 14:20
Aggiornato 08.04.2020, 14:27
© Reuters. Un impiegato Fca con una maschera protettiva esce dallo stabilimento Mirafiori a Torino

© Reuters. Un impiegato Fca con una maschera protettiva esce dallo stabilimento Mirafiori a Torino

di Giselda Vagnoni

ROMA (Reuters) - Molte aziende e accademici italiani stanno chiedendo in questi giorni al governo di riaprire le fabbriche per evitare una catastrofe economica. E lo fanno mentre tutto il mondo guarda all'Italia, primo Paese occidentale ad aver imposto il confinamento, per capire quale strategia adotterà per uscire dalla crisi senza precedenti innescata dal nuovo coronavirus.

La domanda, a livello globale, è la stessa: quanto possono durare e quanto possono essere severe le restrizioni contro la pandemia prima di causare danni irreparabili alle attività produttive e ai posti di lavoro?

L'Italia si trova a dover sciogliere a breve questi dilemmi, non solo perché ha adottato misure restrittive draconiane prima degli altri paesi e perché conta il numero di vittime da Covid-19 più alto del mondo, ma anche perché il virus ha colpito principalmente le regioni del Nord che generano un terzo della produzione nazionale.

"Io adesso ho anticipato gli stipendi. Lo posso fare un'altra volta. Ma se inizio a non incassare più nulla come faccio?" si e' chiesta Giulia Svegliado, AD di Celenit, un produttore di pannelli isolanti industriali di Padova, in un forum online organizzato dal portale ItalyPost.

"Come faccio a trattenere un mio grosso cliente americano?".

Circa 150 accademici italiani hanno pubblicato una lettera su Il Sole 24 Ore, il quotidiano di Confindustria, chiedendo al governo di sbloccare l'economia.

"E' evidente che non si può immaginare di tenere bloccato il Paese ancora per mesi perché le conseguenze sociali ed economiche rischierebbero di produrre danni irreversibili, probabilmente più gravi di quelli prodotti dal virus stesso", si legge nella lettera.

Roma ha imposto il 9 marzo un lockdown a livello nazionale, dopo che il nuovo virus, emerso in Cina, aveva già ucciso più di 460 persone. Due settimane dopo, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha annunciato la chiusura fino al 3 aprile delle attività non essenziali, tra cui la produzione di automobili, vestiti e mobilio.

Il bilancio delle vittime è aumentato a ritmo costante e ha superato ora la soglia dei 17.000 morti. La scorsa settimana il governo ha esteso le restrizioni fino al 13 aprile e l'attesa generale è che tali misure rimangano fino a dopo il ponte del primo maggio.

Tuttavia sabato scorso è stato registrato il minor numero giornaliero di vittime legate a Covid-19 in quasi due settimane, insieme al primo calo del numero dei pazienti ricoverati in terapia intensiva. Questi due numeri hanno alimentato la speranza che l'epidemia abbia raggiunto il suo apice e hanno spostato l'attenzione sulla prossima fase della crisi.

QUAL È IL PIANO?

La maggior parte del mondo imprenditoriale comprende la necessità di misure restrittive che garantiscano la salute pubblica. Dopotutto, se le prescrizioni fossero revocate prima di essere riusciti a contenere il virus, i cittadini non si sentirebbero sicuri abbastanza per poter uscire di casa e riprendere a dedicarsi ai consumi.

L'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha sollecitato gli Stati a non revocare le restrizioni prima del dovuto.

"Una delle cose più importanti è non allentare troppo presto le misure, in modo tale da non avere una ricaduta", ha spiegato martedì il portavoce Christian Lindmeier. "È come essere malati, se ti alzi dal letto e ricominci troppo presto rischi di avere una ricaduta e complicazioni".

Ciò che preoccupa molti in Italia e all'estero è l'apparente assenza di piani da parte delle autorità su come revocare le misure in modo sicuro, mentre i governi lottano contro un nemico inatteso, invisibile e sconosciuto e le direttive scientifiche si evolvono su base settimanale.

Le imprese della terza maggiore economia della zona euro stanno facendo pressione affinché il governo prepari una strategia di uscita graduale.

"Mi aspetto che arrivino dal governo delle regole ferree ma che si possa poi ripartire rispettando queste regole", ha detto Stefano Ruaro, fondatore di Sertech Elettronica, produttore di Vicenza di parti elettromeccaniche, elettroniche e software.

In una riunione tra il governo e il comitato tecnico martedì sera è stato concordato di dare priorità alla ripresa delle attività produttive ma non è stata presa alcuna decisione sul quando, riferisce una fonte governativa.

Finora, le autorità hanno affermato che le restrizioni sul lavoro saranno probabilmente revocate in base al settore, anziché su base geografica. Sono state discusse anche misure di 'distanziamento sociale', un uso più diffuso di strumenti di protezione personale, mascherine incluse, e un rafforzamento dei sistemi sanitari locali.

Saranno estesi anche i test e le misure di "contact tracing", tra cui anche l'uso di app per smartphone e di altri strumenti digitali, seguendo l'esempio della Corea del Sud.

'DANNI INCALCOLABILI'

Vicenza e Padova sono in una delle regioni italiane più colpite, il Veneto, insieme alla Lombardia e all'Emilia Romagna. L'alta densità di fabbriche e i forti legami economici con la Cina sono stati menzionati tra le possibili cause dell'epidemia nell'area.

"Diciamo fate presto a gran voce alle autorità", ha detto Cesare Mastroianni, vicepresidente di Absolute, produttore di yacht di lusso a Piacenza, in Emilia Romagna. "La stagionalità del nostro mercato ci sta provocando un danno inestimabile".

I sindacati hanno minacciato scioperi nel caso in cui il governo non mantenga la sospensione delle attività non essenziali. Bisogna proteggere la salute prima dell'economia, dicono, e anche se molte aziende fanno appello al governo per un piano di riapertura delle fabbriche, non sono disposte a mettere a rischio la salute dei propri lavoratori.

"Noi siamo pieni di ordini ma non possiamo riaprire finché sussisterà il rischio che i dipendenti possano ammalarsi. Riaprirò quando gli organi preposti decideranno che lo si possa fare salvaguardando dipendenti e imprese", ha detto Gaetano Bergami, fondatore di Bmc, produttore di sistemi di filtrazione per motori aeronautici e automobilistici.

Ma con un Pil visto in calo da Confindustria del 6%, un debito pubblico in salita verso il 150% del Pil, e migliaia di cittadini già alla ricerca di forme di sostegno al reddito, la pressione sul governo per dettagliare la ripresa cresce.

"Riapriamo. Perché non possiamo aspettare che tutto passi. Perché se restiamo chiusi la gente morirà di fame", ha dichiarato l'ex premier e leader di Italia Viva Matteo Renzi in un'intervista al quotidiano cattolico Avvenire.

TEST SUGLI ANTICORPI

Alcune Regioni del nord hanno iniziato a testare gli operatori sanitari per individuare la presenza di anticorpi, fattore che potrebbe aiutare a identificare individui immuni al coronavirus.

L'idea sarebbe di permettere alle autorità di emanare "certificati di immunità" che consentirebbero un ritorno al lavoro in sicurezza.

Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità, ha detto che test affidabili sugli anticorpi, per scoprire chi è già stato contagiato dal coronavirus e chi potrebbe probabilmente aver già sviluppato un'immunità, offrirebbero un quadro più chiaro sulla circolazione dell'epidemia in Italia.

Tuttavia, secondo Locatelli, potrebbe essere necessario ancora un mese prima che le autorità sanitarie nazionali mettano a punto raccomandazioni sui test sierologici.

Alcuni imprenditori dicono di essere disposti a spendere di tasca propria per testare i propri dipendenti, se ciò aiuterà ad accelerare la riapertura graduale delle loro attività.

"Io ho proposto di farci noi carico dei tamponi", ha detto Roberta Mantovani, presidente di Mantovanibenne, produttore di benne per escavatori a Mirandola, in Emilia Romagna.

Non è la sola.

"Io molto volentieri mi accollerei i costi del tampone", ha detto Svegliado di Celenit. "Il rischio vero non è di contrarre il coronavirus nel posto di lavoro ma di rimanere senza posto di lavoro".

© Reuters. Un impiegato Fca con una maschera protettiva esce dallo stabilimento Mirafiori a Torino

- ha contribuito Giuseppe Fonte

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