Banchieri centrali non più interventisti, l’economia ostacola la “normalizzazione”

 | 28.01.2019 12:41

I fatti parlano più delle parole e i recenti colpi mancati nelle linee guida delle banche centrali potrebbero far rimpiangere agli investitori i giorni in cui i banchieri centrali non dicevano niente o nascondevano i loro commenti in modo relativamente velato. Le loro intenzioni diventavano chiare solo quando facevano effettivamente qualcosa.

Proprio come aveva fatto il Presidente della statunitense Federal Reserve, la scorsa settimana il Presidente della Banca centrale europea Mario Draghi e il Governatore della Banca del Giappone Haruhiko Kuroda si sono ritrovati a ritornare sui propri passi in merito alle previsioni precedenti.

“I rischi che circondano la crescita della zona euro sono ora al ribasso”, ha spiegato Draghi in occasione della conferenza stampa seguita al vertice della BCE, “a causa del persistere del clima di incertezza legato a fattori geopolitici ed alla minaccia del protezionismo, delle vulnerabilità dei mercati emergenti e della volatilità dei mercati finanziari”.

In un commento da “costi quel che costi”, ha affermato che il consiglio direttivo “rimane pronto a modificare tutti i suoi strumenti” come necessario, per spingere l’inflazione verso l’obiettivo del 2%.

Draghi ha affermato che i mercati hanno interpretato bene la parte legata ai dati delle linee guida, dimostrando di non aspettarsi più un aumento dei tassi quest’anno ma, piuttosto, non prima del 2020. Il Presidente della BCE ha poi preso atto del fatto che probabilmente sarà il primo capo della banca centrale a non aver effettuato un aumento dei tassi durante gli otto anni del suo mandato, che terminerà a fine ottobre.