Antonio Capaldi | 17.03.2025 10:57
Cari amici di Investing,
alcuni media sostengono che le mosse di Trump, tra cui l’imposizione di dazi, le misure drastiche per ridurre la burocrazia e una politica immigratoria severa, stiano facendo vacillare Wall Street, con possibili conseguenze come un aumento dell’inflazione, un rallentamento della crescita e perfino il rischio di una recessione.
Tra le "vittimie" degli ultimi mesi è presente lo S&P 500, con il future che ha ceduto oltre l'8% dai massimi di febbraio; inoltre la fiducia dei consumatori americani si è incrinata e i segnali di rallentamento del mercato del lavoro si fanno vedere.
In Europa, invece, i mercati hanno resistito. Tuttavia, questo contesto non dovrebbe spingere gli investitori a disinvestire dal mercato statunitense, dato che la maggior parte della discesa è riconducibile ai cosiddetti “Magnifici 7”, mentre il resto del mercato ha mostrato una certa stabilità.
Il verificarsi di una correzione di mercato non significa automaticamente che si instaurerà un trend ribassista prolungato. Infatti, dal dopoguerra, solo una correzione su quattro ha anticipato un mercato orso, come accaduto con la rapida correzione post-Covid, molto simile a quella attuale. Trump sembra non farsi troppo influenzare dalle preoccupazioni di Wall Street o dalle ipotesi di recessione. Durante il suo primo mandato, il presidente si era concentrato su obiettivi a breve e medio termine con l’intento di essere rieletto.
Adesso, non potendosi candidare per un terzo mandato, punta a lasciare un segno duraturo, restituendo un’America alleggerita dal peso del debito e dai crescenti costi di rifinanziamento, e a consolidare il suo ruolo di protagonista globale nel commercio e nell’innovazione tecnologica, con benefici a lungo termine che non dipendano esclusivamente dagli stimoli fiscali. Il segretario al Tesoro, Scott Bessent, ha persino suggerito agli investitori di spostare il focus da una protezione contro i ribassi, a una scommessa sui rialzi futuri.
Per raggiungere i suddetti, l’attuale amministrazione sembra disposta ad accettare qualche sacrificio, anche se questo potrebbe tradursi in periodi di turbolenza per l’economia e i mercati, o perfino in una recessione tecnica, cioè due trimestri consecutivi di leggero calo del PIL , sebbene al momento non si intravedano segnali chiari in tal senso. Mentre alcuni economisti e case di Investimento sono generalmente ottimiste, altri temono che Trump possa commettere lo stesso errore di Hoover, che durante la Grande Depressione aveva creduto nell’autoregolazione dell’economia.
Spostando il paragone a Reagan, il quale nel suo primo mandato ha combattuto contro la stagflazione e nel secondo ha saputo riposizionare con successo gli Stati Uniti sulla scena mondiale, fece largo uso del debito per finanziare tagli fiscali e deregolamentazioni che rilanciassero l’economia, e successivamente per sostenere la spesa militare contro un’URSS in difficoltà. Oggi, il rapporto debito/PIL degli USA è tre o quattro volte superiore rispetto a quei livelli, e ulteriori incrementi potrebbero alimentare l’inflazione, far salire i tassi d’interesse e i rendimenti dei Treasury, mettendo a rischio il predominio del dollaro. L’apparato burocratico si è ingrandito troppo ed è necessario intervenire con una profonda razionalizzazione, trasferendo il motore della crescita dal settore pubblico al settore privato, in modo da ampliare la base economica ben oltre il ristretto gruppo dei Magnifici 7.
Per gli investitori, questo non è il momento di vendere in fretta, ma piuttosto di adottare una strategia tattica e di mantenere fiducia nel lungo periodo. I sacrifici, anche dal punto di vista emotivo, potrebbero essere ripagati con tassi e inflazione più contenuti, una ripresa degli utili aziendali su una base più ampia e valutazioni azionarie più interessanti.
Buon Investing a tutti!
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