Paolo Belvederesi | 14.02.2019 12:36
Il dato sui CPI uscito ieri mostra da un lato un dato headline in rallentamento e dall’altro la persistenza di pressioni inflazionistiche sul dato core.
Quest’ultimo ha mostrato un incremento dello 0,2% a gennaio, in linea con le attese degli economisti, portando il dato annualizzato a registrare un incremento del 2,2%. Il dato headline, invece, ha mostrato un trend flat a gennaio con una crescita annua in calo all’1,6%. A prima vista questi dati sembrerebbero mostrare un trend inflattivo stabile, se non in calo. Non è proprio cosi. Come spesso accade, “il diavolo si nasconde nei dettagli” (dicono gli inglesi).
A guardare i dettagli si nota che:
- Sussistono importanti pressioni sui prezzi core provenienti dal mercato immobiliare. Gli affitti delle case sono saliti dello 0.3% a febbraio portando la crescita annualizzata al 3%. Tale trend potrebbe continuare nei prossimi mesi.
- Il mercato delle auto mostra pressioni inflazionistiche. Sia i prezzi delle auto nuove che di quelle usate hanno mostrato rincari a gennaio.
- Il settore dell’abbigliamento, in particolare di quello femminile, ha subito i piu’ elevati rincari dal 1988, frutto dell’aumento del potere di acquisto dei consumatori grazie al buon andamento dei salari.
Pressioni inflazionistiche si riscontrano poi anche sul prezzo del cibo, in rialzi dello 0,2% a gennaio.
Unica componente che ha portato l’inflazione a scendere all’1,6% e’ stata quella energetica. Il calo del prezzo della benzina di oltre il 5% ha pesato sensibilmente sul dato headline di gennaio.
In sintesi, l’inflazione in USA presenta rischi al rialzo se depurata dall’andamento del prezzo del petrolio. Rincari del Brent nei prossimi mesi (possibili se l’Arabia Saudita continua a ridurre la produzione) potrebbero riflettersi immediatamente sull’andamento dei CPI.
La FED potrebbe trovarsi costretta ad alzare i tassi pur in presenza di un’economia in rallentamento.
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