Ecco gli Unicorni, Parte II: Spotify opta per il direct listing

 | 21.03.2018 17:58

Dopo essere stato relativamente calmo e meno stellare rispetto al 2017 per quanto riguarda le offerte pubbliche iniziali (IPO), il 2018 sembra diventare più promettente e potenzialmente più eccitante, con la carica di un branco di “Unicorni”: Zscaler, Dropbox e Spotify. Vengono definite Unicorni le start-up con una quotazione da un miliardo di dollari o più.

Zscaler (NASDAQ:ZS), fornitore di soluzioni per la sicurezza cibernetica e primo Unicorno a correre, è stato quotato in borsa venerdì scorso. Era quotato a 16 dollari ma ha chiuso il primo giorno di scambi con un’impennata del 106% a 33 dollari, sebbene alla chiusura di ieri il titolo fosse scambiato a 30,38 dollari. La sua capitalizzazione di mercato è cominciata a 2,5 miliardi di dollari; al momento è schizzata a 3,27 miliardi di dollari.

L’IPO di Dropbox (NASDAQ:DBX) è prevista per questo venerdì 23 marzo. Ieri abbiamo analizzato i fondamentali di Dropbox, alla vigilia della sua IPO già sottoscritta al di sopra dell’effettiva disponibilità.

Oggi prenderemo in considerazione la più insolita decisione di Spotify (NYSE:SPOT) per il debutto in borsa, attraverso un direct listing in programma martedì 3 aprile. Come spiegheremo di seguito, questa strada è potenzialmente più volatile e molto più rischiosa per gli investitori privati. Anche se non vi preoccupa il rischio maggiore, la domanda fondamentale non può essere ignorata: investireste su Spotify quando sarà quotata in borsa?

Spotify: una piattaforma in crescita ma nessun vero profitto … finora

Per i pochi che non ne abbiano mai sentito parlare, Spotify è un servizio di musica in streaming e anche piuttosto buono. Offre musica in streaming gratuita con funzionalità limitate e annunci pubblicitari minimi o un servizio premium al costo di 9,99 dollari, che sale a 14,99 dollari per un pacchetto famiglia fino a 5 utenti (cioè 3 dollari a persona anziché i 9,99 dollari dell’utente singolo).

Spotify è una compagnia svedese. Si potrebbe dire che è la seconda compagnia svedese più famosa dopo IKEA. È attiva dal 2008 quindi non si può esattamente definire una start-up. Le valutazioni private della compagnia arrivano a 20 miliardi di dollari.

Esaminando la documentazione F-1 pre-IPO di Spotify emerge il vero funzionamento della compagnia. E non è affatto buono.

Partendo dagli aspetti positivi, Spotify ha 71 milioni di abbonati paganti, quasi il doppio di quelli di Apple Music (NASDAQ:AAPL), che all’ultimo conteggio ammontavano a 36 milioni. Wall Street ama la crescita e Spotify va egregiamente su questo fronte, con una crescita del 46% di utenti paganti nello scorso anno. Gli abbandoni sono scesi al 5,5%, rispetto al 6,6% dello scorso anno. Gli utili annui sono quasi 5 miliardi di dollari, con un rimbalzo di quasi il 40% rispetto allo scorso anno.

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Sfortunatamente, ci sono anche degli aspetti negativi. Sebbene Spotify sia chiaramente forte sul fronte utili, non lo è ancora abbastanza da essere redditizia. Ha perso 1,5 miliardi di dollari l’anno scorso.

Gli utili medi per utente pagante sono crollati del 14% lo scorso anno, dal momento che sempre più abbonati sono passati al più conveniente pacchetto famiglia.