Fed: aumenta la pressione sui banchieri centrali mentre l’inflazione sale

 | 13.06.2022 11:07

Gli economisti stanno rapidamente rivedendo le loro previsioni sugli aumenti dei tassi per la Federal Reserve dopo che il dato sull’indice sui prezzi al consumo la scorsa settimana è risultato pari all’8,6% sull’anno. Ora si aspettano aumenti da mezzo punto in occasione del vertice di politica monetaria di questa settimana, così come a luglio, dopo l’aumento da mezzo punto a maggio e da un quarto di punto a marzo.

Su base mensile l’indice IPC è salito di un intero punto percentuale, con un tasso del 12% annuo. L’indice IPC core, che esclude alimentari ed energetici, è salito del 6% sull’anno e dello 0,6% sul mese.

Per alcuni economisti, ciò significa che la Fed dovrà continuare con aumenti da mezzo punto fino a settembre. Si parla persino di un aumento da tre quarti di punto, sebbene la Fed in passato l’abbia escluso.

L’impennata dell’inflazione mette al centro della scena i banchieri centrali, perché il loro compito è quello di prevenire l’inflazione. Sia il Presidente della Fed Jerome Powell che l’attuale Segretario al Tesoro Janet Yellen, suo predecessore, hanno fatto un mea culpa riguardo all’errore nel giudicare l’inflazione, ma ciò non ha fermato l’aumento dei prezzi.

Ci si chiede se il piano previsto sarà sufficiente. Mohamed El-Erian, capo consulente economico di Allianz ed ex CEO di PIMCO, ieri ha spiegato che l’attuale impennata si sarebbe potuta evitare se la Fed avesse dimostrato più umiltà nel suo errore di valutazione ed agito prima.

A questo punto, per la banca centrale statunitense sarà dura rimettersi in pari e ripristinare la sua credibilità, scongiurando aspettative di inflazione a lungo termine. Una recessione sembra sempre più probabile.

Il tracker del PIL della Fed di Atlanta ha mostrato che la crescita del secondo trimestre la scorsa settimana è rallentata ad un tasso annuo dello 0,9% dall’1,3% della settimana prima, suggerendo un rallentamento che potrebbe risultare in un secondo trimestre di crescita negativa, definizione tecnica di recessione.

Anche senza una recessione, o nel caso fosse lieve, molti economisti ora si aspettano un periodo di stagflazione (inflazione alta e crescita bassa) che potrebbe durare almeno un paio d’anni.

Al contempo, la Casa Bianca parla di come la Fed abbia bisogno di “spazio” per operare, ammettendo l’indipendenza della banca centrale. Ma, ad alcuni partecipanti dei mercati sembra sempre più che il governo stia facendo sì che la Fed diventi il capro espiatorio per il mancato contenimento dell’inflazione.

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Un messaggio confuso dalla BCE sull’inflazione

La Presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde sta rivelando la sua mancanza di esperienza in politica monetaria, con l’Europa davanti alle pressioni inflazionarie, e sta stranamente opponendo resistenza ad intervenire.

I prezzi al consumo a maggio sono saliti dell’8,1% sull’anno nella zona euro, ben al di sopra dell’obiettivo del 2% della banca centrale.

L’ex capo economista della BCE Peter Praet, la scorsa settimana, ha richiamato all’ordine Lagarde per quello che considera un messaggio confuso: prima ha parlato di aumenti dei tassi molto graduali e poi, la scorsa settimana, se n’è uscita con idee più interventiste, promettendo di cominciare ad alzare i tassi a luglio.

“Quello che mi dà fastidio nella comunicazione è che Christine Lagarde abbia deviato dalle sue stesse parole di qualche settimana fa”, ha dichiarato Praet in una intervista a Bloomberg Television.

Il 23 maggio, Lagarde aveva affermato che gli aumenti dei tassi sarebbero stati graduali perché non c’era domanda in eccesso nella zona euro. La scorsa settimana, invece, ha previsto non solo un aumento da un quarto di punto a luglio, ma anche un altro a settembre, da mezzo punto se sarà necessario.

“Se vuoi essere un falco, allora devi essere coerente e dire quello che vuoi ottenere”, ha detto l’ex capo economista.

Ha anche criticato Lagarde per non essere stata chiara riguardo a cosa farebbe la BCE se dovessero aumentare gli spread dei bond tra le economie più forti e le più deboli della zona euro, un problema tipico quando si cerca di mantenere una moneta unica con 19 governi sovrani, seguendo i loro bisogni di prestito.

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