I rischi geopolitici sono raramente motori del mercato nel lungo termine

 | 02.11.2023 08:02

L’investitore che dice che questa volta è diverso, è incappato nelle quattro parole più costose del mondo degli investimenti (J. Templeton).


Come era nelle attese la FED non ha aumentato i tassi di interesse, mantenendo l'intervallo obiettivo per il tasso dei fondi federali al massimo degli ultimi 22 anni, pari al 5,25%-5,5%, riflettendo la duplice attenzione nel riportare l'inflazione al target del 2% evitando al contempo un'eccessiva stretta monetaria. Powell ha sottolineato che l’entità di qualsiasi ulteriore inasprimento della politica prenderebbe in considerazione l’impatto cumulativo dei precedenti aumenti dei tassi di interesse, i ritardi associati al modo in cui la politica monetaria influenza l’attività economica e l’inflazione, e gli sviluppi sia nell’economia che nei mercati finanziari.
 
In linea con quanto ci aspettavamo anche la narrazione della FED, che ha osservato che l’attività economica si è espansa a un ritmo sostenuto nel terzo trimestre e che il mercato del lavoro rimane robusto, anche se con segnali di raffreddamento, mentre l’inflazione continua a rimanere elevata. Allo stesso tempo, ha anche avvertito che le condizioni finanziarie più restrittive avrebbero colpito l’economia.
 
 
Tasso di disoccupazione della Germania di ottobre in uscita oggi alle 9:55 (stima 5,8% contro 5,7% di settembre), PMI manifatturiero dell’Europa di ottobre alle 10:00 (stima 43 punti contro 43,4 di settembre) e richieste di sussidi settimanali USA alla disoccupazione (stima 210k, invariate rispetto alla settimana). 
 
Ieri gli occupati USA ADP di ottobre sono cresciuti meno delle attese (113k contro 150k stimati), ma risultano in incremento rispetto a settembre (89k). In linea con le attese di 50 punti è risultato il PMI USA di ottobre (49,8 a settembre), mentre più basso delle attese è risultato l’ISM manifatturieri USA sempre di ottobre (46,7 punti contro 49 attesi e di settembre).
 
Non si può certo dire che gli investitori si siano annoiati negli ultimi cinque anni. Il panorama economico mondiale e di riflesso quello finanziario son stati scossi da una pandemia globale, da un’impennata dell’inflazione pluridecennale, da un’impensabile guerra di terra nel cuore dell’Europa, da politiche fiscali ultra accomodanti, da uno degli inasprimenti delle banche centrali più rapidi della storia e una guerra in Medio Oriente. Se ciò non bastasse, la rivalità tra le grandi potenze, USA e Cina si è pure intensificata, così come gli effetti residui del cambiamento climatico. Il 2023 è stato uno degli anni più caldi mai registrati. Aggiungete a quanto sopra gli effetti dirompenti e trasformativi dell’intelligenza artificiale generativa.
 
Last but not least, all’inizio di quest’anno l’umore degli investitori è rimasto prudente data la forte aspettativa di una recessione negli USA. Questa però non si è mai materializzata e, sia pure su una base ristretta (i Magnifici Sette), l’S&P 500, con sorpresa di molti, è cresciuto di quasi il 9% da inizio anno. Considerati gli effetti travolgenti dei turbinosi anni ’20, è comprensibile che gli investitori si trovino un po’ confusi e un po’ sopraffatti dalla cadenza della storia e dei mercati.
 
Crediamo che questo sia ancora più vero nell’era del “più alto per più tempo” in cui ci troviamo attualmente. Come abbiamo accennato nelle scorse settimane, il rialzo più a lungo non si applica solo ai tassi di interesse, ma anche ad altri parametri chiave come i prezzi globali del petrolio, i deficit di bilancio, la spesa per la difesa globale e la discordia politica a Washington. Ognuno di questi fattori rimarrà un segno distintivo di questo decennio tumultuoso.
 
La massa di eventi, insieme ai rendimenti superiori al 5% del mercato dei bond, ha reso gli investitori nervosi nei confronti delle azioni. Utile ricordare a questo punto che nel lungo periodo l’S&P 500 rimane uno dei più grandi strumenti generatori di ricchezza mai creati. L’indice ha decisamente sovraperformato le altre classi di asset nel corso del tempo, restituendo un 11,2% annualizzato tra il 1945 e il 2022, ben al di sopra delle obbligazioni (5,1%), del credito (5,7%), della liquidità (3,8%) e dell’inflazione (3,7%). Di seguito l’S&P 500 negli anni ‘20