Il problema cinese

 | 20.08.2022 17:19


Analizziamo le caratteristiche della struttura socio-politico-economica cinese e le possibili evoluzioni che ne derivano.
Gli elementi che hanno creato il miracolo cinese sono rappresentati da una combinazione precisa di
1- disponibilità politica ed economica all’apertura da parte dei partner del cosiddetto mondo avanzato con l’instaurazione di un circuito di scambio con quest’ultimi, cosa che ha permesso di drenare risorse finanziarie, tramite i surplus commerciali, e acquisire competenze, per lo meno nella replicazione delle tecnologie occidentali; il tutto innescato sul piano finanziario dal cosiddetto “Nixon shock” all’inizio degli anni 70 che pose fine agli accordi di Bretton Woods (minati già a partire dagli anni 60 nel periodo Kennedy/Johnson) e che sancì il passaggio da un sistema monetario seppur non formalmente ancorato all’oro (in quanto gli USA detenevano la maggior parte delle riserve mondiali) ma basato comunque su cambi fissi in cui i flussi commerciali si “autoregolamentavano”, ad uno imperniato sulla moneta FIAT il cui costo era la sola carta di stampa che ha finanziato da quel momento i deficit americani a favore del surplus di Giappone prima e Cina poi, quale input sostanziale alla globalizzazione delle catene produttive che ha supportato l’innegabile crescita senza precedenti degli ultimi 50 anni.
2- struttura demografica ideale per mettere nero su bianco le intenzioni di rivalsa cinese, con una enorme massa di forza lavoro tra i 20 e i 25 anni che fece il suo ingresso nel mercato proprio a cavallo dell’apertura politica, coincisa storicamente con la caduta del Muro.

Aspetti che da un certo punto di vista possono essere schematizzati dal modello di Alexander Gerschenkron, economista ucraino/americano le cui teorie sono state concepite a metà del novecento e che si applicano ancor meglio alle moderne economie emergenti piuttosto che agli stati del 19esimo e 20esimo secolo su cui furono plasmate. I meccanismi indagati si sintetizzano nella relazione inversamente proporzionale tra velocità del processo di industrializzazione di un paese ed il suo sviluppo relativo rispetto alle economie più avanzate nel momento in cui tale processo si compie; nesso che si spiega con la possibilità di attingere sia alla tecnologia evoluta e collaudata già disponibile senza dover attraversare tutti gli stadi di implementazione della stessa, sia alla possibilità di utilizzo di sostituti delle risorse non reperibili internamente.
Peculiarità delle economie emergenti è di solito appunto la demografia. Nel caso cinese una crescita negli ultimi decenni della forza lavoro del 2% circa annuo (fino ad una percentuale di quest’ultima sulla popolazione totale di un valore superiore al 70% paragonato al 60% ad esempio degli Usa) ha portato come naturale conseguenza l’opportunità di contare su dinamiche di offerta e domanda in grado di mantenere depressi i costi della manodopera.
Oltre ai fattori citati il processo necessita di investimenti produttivi che a loro volta hanno bisogno di benzina rappresentata dai liquidi sottoforma dei risparmi complessivi generati sul territorio.
In un paese in via di sviluppo quest’ultimi sono necessariamente non sufficienti a garantire un adeguato livello di finanziamento per la semplice ragione che la società è composta da una base preponderante di popolazione a basso reddito che per tale ragione consuma gran parte delle proprie risorse.
Il modello di sviluppo prevede di ridurre la quota di ricchezza destinata agli strati più poveri, concentrandola nelle fasce più ricche e nelle amministrazioni centrali e locali in modo da determinare un tasso di risparmio più elevato ed una conseguente disponibilità finanziaria alimentata a sua volta dalla bilancia commerciale positiva. Meno consumi e più investimenti.
Parallelo al risvolto economico è quello politico, funzionale al primo nella forma di un autoritarismo di stato in salsa socialista e determinato dalla relazione questa volta diretta tra sviluppo economico istituzionale di un paese, nel caso cinese di certo deficitario al momento della sua instaurazione, e la sua cultura democratica.
Questo schema funziona fino a quando gli investimenti sono produttivi ed i costi contenuti dai vantaggi competitivi, uno su tutti quello demografico.
Entrambe queste caratteristiche vincenti del sistema cinese stanno venendo meno:
la politica del figlio unico, resa necessaria negli anni settanta quando la quota di partecipazione al lavoro era troppo bassa e poco qualificata per poter garantire anche il solo sostentamento della popolazione (in sintesi troppi bambini per pochi adulti) sta mostrando il rovescio della medaglia proiettando nel futuro non troppo lontano una carenza contraria con una quota di anziani non sostenibile rispetto al totale (sotto i grafici esplicativi).