La volatilità sui mercati: ecco come contrastarla!

 | 27.01.2022 13:21


Il 2022 si è aperto con un nuovo picco di volatilità sulle borse internazionali e pochi sono stati i porti rifugio, visto che l’obbligazionario soffre per la pressione sui tassi di interesse. Solo le materie prime sembrano continuare la loro tendenza, sospinte dalle tensioni inflattive e da quelle geopolitiche.

Tuttavia, anche sull’equity un aiuto per un approccio attivo di portafoglio può venire dall’utilizzo da strumenti che meglio possono affrontare un 2022 che si preannuncia pieno di saliscendi e da persistenti fenomeni di rotazione settoriale. Se quella “Growth” – “Value” ha interessato il 2021, legandosi a doppio filo con l’andamento dei tassi di interesse a medio lungo termine, l’impressione è che il nuovo anno abbia portato qualche altra novità, con una tematica dalla sinfonia diversa, ossia tra titoli ad alto e basso beta, dove la discriminante diventa le attese di crescita prospettica.

Il ciclo economico americano, dopo la crisi Covid, è stato sospinto dall’enorme liquidità iniettata sia dalle banche centrali, sia dagli stessi governi (sebbene con intensità e tempi diversi, come dimostrano i casi di USA, Europa e Cina). Ad una fase più matura del ciclo, in questo momento si sta manifestando la volontà dei decisori di politica monetaria di procedere ad una normalizzazione: in particolare, la Fed sta agendo probabilmente in ritardo verso l’inflazione, ma anche in una logica di medio termine.


L’obiettivo è ricreare, come già fatto storicamente, un cuscinetto di intervento nelle misure di politica monetaria per gestire eventuali fasi di rallentamento economico, che, oggi, non sono all’orizzonte, ma potrebbero esserlo dal 2023 o successivamente.


Per il 2022, quindi, gli investitori potrebbero valutare alcune esposizioni di tipo ‘satellite’ nell’allocazione equity, da affiancare a quelle globali e diversificate, per un posizionamento più difensivo rispetto alle attuali dinamiche di mercato. Un’idea è di rivolgersi a indici ugualmente globali e diversificati, ma dove cambia il criterio di selezione dei titoli: sono indici governati quindi non dal concetto della capitalizzazione di mercato ma da altri fattori di scrematura, modificando quindi l’universo investibile iniziale. Uno di questi è quello della “minimum volatility”, una metodologia che consente di creare un paniere dove l’obiettivo è di minimizzare, attraverso la correlazione esistente tra settori/titoli, la volatilità complessiva del nuovo indice composto.

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L’indice MSCI World Low Volatility Factor Price USD, rispetto al tradizionale MSCI World, negli ultimi 10 anni ha espresso una volatilità di 3 punti percentuali più bassa (11,9% vs 14,7%), avendo però una performance più bassa (204% vs 255%). Lo Sharpe ratio, però, premia l’indice fattoriale, con un valore di 0,59 vs 0,56 e un drawdown significativamente inferiore (-28,9% vs -33,7%). Il Beta, sempre negli ultimi 10 anni, è pari a 0,74, confermando la capacità di smussare la volatilità derivante dai mercati.


Negli ultimi due anni, però, l’indice Minimum Volatility è stato decisamente poco felice come scelta di investimento: il 4,7% vs 28,4%, pur mantenendo le caratteristiche di minore volatilità e drawdown. Il motivo è facilmente intuibile: il mercato, negli ultimi 24 mesi, ha preferito di gran lunga le esposizioni sulla tecnologica, ad alto beta e, in alcuni frangenti del 2021, i comparti legati all’economia tradizionale (Old Economy/Value). Tra i fattori tradizionali (Value, Growth, Momentum, Size, High Dividend e appunto, Minimum Volatility) è stato tra i fattori meno performanti, dando spunto però, in logica contrarian, ad una loro riconsiderazione per l’anno in corso.