Le banche devono temere davvero la Brexit?

 | 19.09.2017 15:00

di Jason Martin

Mentre si avvicina il quarto round delle trattative sulla Brexit, in agenda il 25 settembre, la quantità delle lamentele da parte del settore dei servizi finanziari in merito alla mancanza di progressi aumenta. Ha senso. Fino a quando Regno Unito ed Unione Europea non sigleranno gli accordi commerciali, le banche della regione non potranno stabilire le strategie per le divisioni multinazionali. I prezzi dei titoli delle banche e l’opinione pubblica in merito al valore di Londra come centro finanziario dimostrano che molto probabilmente si tratta di “chiasso” politico. Come vedremo, l’impatto delle decisioni dei politici circa il futuro delle relazioni tra Regno Unito ed UE avrà poco - se non per niente - impatto sul settore bancario e le nostre scoperte indicano che gli investitori farebbero meglio a concentrarsi su altre considerazioni.

Brexit: i negoziatori continuano a battibeccare

I negoziatori UE hanno ribadito che prima che le trattative commerciali possano iniziare, bisognerà affrontare questioni come i diritti dei cittadini, i pagamenti britannici alla partenza e le discussioni sul confine irlandese.

Tuttavia, persino dopo la conclusione del terzo round di trattative a fine agosto, i negoziatori della Brexit non sono riusciti a trovare un accordo sul fatto che siano stati compiuti dei progressi o meno.

“Non abbiamo fatto progressi su nessuna delle questioni principali”, ha dichiarato Michel Barnier, a capo delle trattative sulla Brexit per l’Europa, a conclusione delle ultime trattative, sebbene abbia ammesso che le discussioni sul confine irlandese sono state “fruttuose”.

Al contrario, la controparte britannica, David Davis, Segretario di Stato britannico per l’uscita dall’Unione Europea, ha affermato che entrambe le parti hanno compiuto “dei progressi concreti”.

La palese differenza di opinioni naturalmente porta a chiedersi se Barnier e Davis abbiano realmente partecipato agli stessi incontri per negoziare i termini per l’uscita britannica dall’UE, lasciando le banche in un clima costante di incertezza in vista delle decisioni chiave su come procedere con le strategie per la Brexit.

Banche in un limbo strategico

“Davanti all’assenza di chiarezza sulle relazioni future tra UE e Regno Unito, gli operatori dei mercati dovranno prendere delle importanti decisioni in un clima di considerevole incertezza”, si legge in un recente report dell’AFME, l’associazione per i mercati finanziari in Europa, che si definisce la “voce dei mercati finanziari europei”.

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Insieme a UK Finance, che rappresenta circa 300 delle principali aziende di servizi finanziari, bancari e legati ai mercati ed ai pagamenti da e verso il Regno Unito, l’AFME ha pubblicato un rapporto con delle indicazioni per le autorità britanniche ed europee su come gestire le questioni derivanti dalla Brexit.

“L’incertezza contrattuale dei contratti transnazionali post-Brexit deve essere affrontata con prontezza da tutte le parti in causa per evitare impatti dannosi per i clienti da entrambe le parti della Manica”, afferma Steven Jones, amministratore delegato di UK Finance.

“La questione è estesa e non si limita soltanto al comparto bancario, in quanto interessa anche prodotti e servizi transnazionali, tramite pagamenti, assicurazioni e servizi di gestione degli investimenti”, aggiunge.

“Si stima che 1,3 mila miliardi di euro (1,56 mila miliardi di dollari) di asset bancari britannici sono collegati alle forniture transnazionali di prodotti e servizi finanziari, molti dei quali supportano le imprese di esportazione UE che sono considerate motori principali della crescita”, spiega Simon Lewis, amministratore delegato dell’AFME.

Entrambi gli esperti suggeriscono che chiarire questi aspetti è “fondamentale”.

Il punto cruciale del problema consiste proprio nella “incertezza contrattuale”, con le banche globali che non hanno i dettagli su quello che sarà loro richiesto per continuare come al solito con le loro attività, né se sarà ancora possibile farlo.

Sebbene i giornali siano pieni di informazioni sul fatto che le banche si stanno preparando alle varie possibilità, come il trasferire degli impiegati a Francoforte o Dublino, secondo un report pubblicato all’inizio del mese meno di 10 delle circa 40 banche che effettuano operazioni UE al di fuori di Londra hanno realmente richiesto la licenza per continuare ad operare nel blocco della moneta unica dopo l’uscita del Regno Unito.

Tra questi 40 istituti finanziari che fanno affari in UE e si trovano a Londra, ci sono banche britanniche e banche di investimento USA, oltre ad alcune minori di Asia e Medio Oriente, secondo Sabine Lautenshlaeger, vicepresidente della divisione della Banca Centrale Europea per la supervisione delle banche. In alcuni casi, come quelli di Barclays (LON:BARC) (NYSE:STT ), le filiali a Londra sono sufficientemente grandi per essere supervisionate direttamente dalla BCE, anche se non è ancora chiaro quale tipo di permesso esattamente, se necessario, dovranno ottenere se dovessero decidere di allargare le proprie operazioni al Continente.

Tra le banche britanniche, la stessa Barclays ha annunciato l’intenzione di ottenere una licenza estesa per la filiale in Irlanda, mentre Royal Bank of Scotland (NYSE:STAN ) hanno reso noto che potrebbero effettuare la richiesta formale prima della fine dell’anno.

Anche se la data limite per la Brexit non sarà prima del marzo 2019, la richiesta per la licenza delle banche, ad un regolatore nazionale di uno stato membro UE ed alla BCE, potrebbe richiedere dai sei ai 12 mesi o anche di più nel caso di una raffica di richieste.

Il quarto round delle trattative tra Regno Unito e UE è stato rinviato di una settimana ed è ora previsto il 25 settembre per via di un imminente discorso del Primo Ministro britannico Theresa May.

Secondo un portavoce della May, il Primo Ministro interverrà il 22 settembre a Firenze, in Italia, per delineare il tipo di legami che il Regno Unito intende avere con l’UE dopo l’uscita dal blocco, aprendo la strada alle discussioni che seguiranno.

Il quinto round delle trattative è stato programmato per il 9 ottobre, 10 giorni prima dei due giorni di summit UE.

Contrariamente alla linea dura tenuta dai negoziatori UE, secondo alcune voci a fine agosto i diplomatici francesi starebbero insistendo per iniziare le trattative con il Regno Unito già ad ottobre.

Alla luce di queste voci, il summit UE alle porte potrebbe costituire il punto di svolta per i politici della regione per riconsiderare le loro posizioni al riguardo, sebbene gli scettici sottolineino la mancanza di progressi ed indichino che il summit seguente, a metà dicembre, potrebbe essere l’occasione più probabile per l’inizio delle discussioni.

Londra resta il principale centro finanziario, i titoli del settore bancario, impuniti

Ciononostante, c’è stato poco impatto sia sullo status di Londra come principale centro finanziario mondiale che sui prezzi dei titoli bancari in generale.

Nella 22esima edizione del ranking Z/Yen dei centri finanziari globali, noto come GFCI 22, Londra continua a mantenere la prima posizione contro 107 rivali.