Obbligazioni indicizzate all’inflazione: scopriamo come funzionano

 | 10.01.2022 16:19

Complici le recenti dinamiche di vario tipo: sociali, macroeconomiche e politiche, l' inflazione negli ultimi tempi è esplosa al rialzo e rappresenta un termine che ormai è entrato nella bocca di tutti.

L' aumento di quest' ultima implica prezzi di beni e servizi via via sempre più alti, conseguentemente se il nostro reddito da lavoro e il nostro patrimonio investito non si rivalutano almeno alla stessa velocità dell' inflazione, subiremo un impoverimento del nostro potere d' acquisto o della nostra ricchezza in termini reali.

Coerentemente con lo scenario inflattivo delineatosi, i risparmiatori sono più che mai alla ricerca di strumenti finanziari che costituiscano una copertura dal carovita, questo lo sa bene l' industria finanziaria, che infatti non ha tardato a sfornare soluzioni che si propongono di andare in questa direzione, ad esempio strumenti focalizzati su settori potenzialmente beneficiari di un' inflazione in aumento, o su aziende ad elevato pricing power.

Tuttavia la soluzione più adatta che il risparmiatore associa all' obiettivo di proteggersi dal carovita proviene dai bond indicizzati all' inflazione, nati proprio con questo scopo e che si differenziano dai classici bond a tasso fisso.

Vediamo di spiegare innanzitutto la differenza che sussiste tra bond a tasso fisso e inflation linked.

Investendo in bond a tasso fisso non facciamo altro che prestare denaro ad un emittente (lo Stato o un' azienda), a fronte del pagamento di un interesse periodico per tutta la vita del prestito oltre che della restituzione del capitale a scadenza.

In pratica se prestiamo 1.000 € all' azienda X, concordando una restituzione in 10 anni e ponendo che essa ci remuneri ad un interesse del 3% annuo, riceveremo 30 € ogni anno per 10 anni e al termine del periodo, salvo default dell' emittente, ci verranno restituiti i 1.000 € inizialmente prestati.

Il rendimento del 3% è espresso in termini nominali, mentre il rendimento reale non è identificabile a priori, ossia nel momento in cui sottoscriviamo l' obbligazione, ciò dipenderà infatti dall' inflazione che si manifesterà nel corso della vita del bond.

Viceversa, attraverso la sottoscrizione di un inflation linked bond è possibile determinare a priori quello che sarà il rendimento reale cui andremo incontro, a prescindere dal livello d' inflazione che avremo nel corso degli anni; quest' ultimo titolo ci riconoscerà cedole periodiche rivalutate in base all' inflazione registrata, e anche il capitale restituito a scadenza sarà arricchito della componente inflattiva.

Se ad esempio acquistiamo un bond inflation linked per 1.000 € il quale rende l' 1% annuo, ma in termini reali, assumendo che l' inflazione schizzi del 4% durante il 1° anno, come risultato avremo che il capitale investito verrà rivalutato a 1.040 € e la cedola annuale a 10,40 €. Lo stesso discorso varrà per tutti gli anni di vita del titolo.

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La rivalutazione del capitale e delle cedole avviene in base all' inflazione misurata da un preciso e predeterminato indice di riferimento, ad esempio per il Btp Italia l' indice FOI (indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati).

Descritti così gli inflation linked sembrerebbero una sorta di Sacro Graal, ma non è sempre così, vediamo perché.

Innanzitutto il rendimento di tali titoli è minore dei corrispettivi a tasso fisso