La possibile presa di profitto sul dollaro sarà una pacchia per le materie prime

 | 23.07.2018 16:06

L’inatteso crollo di venerdì scorso del dollaro potrebbe essere precursore di ulteriori cali della valuta che potrebbero spingere i future degli energetici, dei metalli e dei prodotti agricoli questa settimana, mettendo a dura prova i fondamentali non-monetari.

Con quasi tutte le materie prime al mondo valutate in dollari, la valuta probabilmente esercita molta più influenza di quanto sia garantita nella loro direzione di mercato: un dollaro forte, cioè, equivale ad una domanda debole di materie prime e viceversa.

Sebbene il prezzo di una risorsa naturale venga determinato dal bisogno dei produttori, dei consumatori e degli investitori nei confronti della fornitura, la forza/debolezza relativa del dollaro contro l’euro e lo yen spesso distorce questa situazione.

La guerra commerciale in corso tra Stati Uniti e Cina ed Europa sta creando un’altra anomalia per i prezzi delle materie prime, facendo restare prodotti come il rame al di sotto del giusto valore, secondo gli analisti di Citigroup.

Dopo aver segnato il massimo di un anno giovedì, l’indice del dollaro, che ne replica l’andamento contro un paniere di sei principali valute, ha chiuso la settimana con il calo percentuale giornaliero maggiore dal 29 giugno.

I prezzi delle materie prime si sono mossi in senso contrario, con i future del greggio USA, del rame, dell’oro e del granturco rimbalzati tra l’1% e il 2% sulla giornata, sebbene molti abbiano chiuso la settimana in calo per via delle forti perdite registrate nei giorni precedenti.

Il dollaro ha visto un tonfo quando Donald Trump ha riferito alla CNBC di non essere entusiasta degli aumenti dei tassi di interesse della Federal Reserve e del fatto che la banca stia danneggiando le esportazioni USA con un dollaro forte.

Il presidente ha inoltre minacciato di applicare dazi su tutti i 505 miliardi di dollari di prodotti cinesi importati negli USA, superando l’iniziale minaccia di prendere di mira solo poco più di 200 miliardi di dollari di beni. Ha poi proseguito su Twitter accusando Cina ed Unione Europea di manipolazione monetaria e dei tassi di interesse, una situazione che secondo lui pone in svantaggio gli Stati Uniti.

Sebbene Trump sia il primo presidente in un quarto di secolo a criticare la Fed per la politica monetaria, non è tuttavia il primo ad accusare Pechino di manipolazione dei tassi (anche Obama l’ha fatto).

E la risposta storicamente evasiva della Cina a tali accuse indica che Trump non sarà l’ultimo inquilino della Casa Bianca a lamentarsi della situazione.

Quindi, perché i trader del forex si sono affrettati ad allontanarsi dal dollaro dopo le sue parole?

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