Proseguono le vendite sui mercati

 | 13.04.2022 10:01

Seduta di martedì nuovamente al ribasso, ma in una sessione caratterizzata dall’agitazione, con i principali indici americani che prima di chiudere in negativo registravano interessanti guadagni.

In Europa la lettura dell’indice ZEW Tedesco non è stato sufficiente a riportare maggiore ottimismo sui mercati europei, con il dato, sebbene in calo, notevolmente inferiore rispetto alle attese degli analisti.

Una crisi di fiducia sembra essere la principale causa del calo sugli indici europei. Dopo aver sovraperformato gli Stati Uniti all'inizio dell'anno, sulla scia del loro maggiore peso sul comparto Value e di un maggior gap da poter colmare, da allora i mercati europei sono crollati sotto il fuoco di diversi colpi: il peso della guerra in Ucraina, le sanzioni alla Russia, gli alti prezzi energetici, la crescita dell'inflazione e la revisione al ribasso sulla crescita nel Vecchio Continente.

La situazione è stata poi esacerbata dalla notizia che il principale asset manager Capital Group ha seguito l'investitore di private equity Cerberus nel vendere le sue significative partecipazioni nelle maggiori quotate banche tedesche, Deutsche Bank (DE:DBKGn) e Commerzbank (DE:CBKG). Questo segue altre vendite di partecipazioni da parte di grandi investitori, da Airbus, EON fino a Glencore.

Ma per ogni venditore di azioni europee c'è, per definizione, un compratore. E alcuni stanno chiaramente seguendo la massima di Warren Buffett di "essere avidi quando gli altri hanno paura". C’è da ritenere che le prospettive di crescita economica europea siano ragionevolmente sicure, sostenute dall'aumento della spesa fiscale, dai tassi di interesse a zero e da un euro competitivo.

In America il livello di inflazione a marzo si è aggiornato su nuovi massimi al 8,5% - il maggior valore da dicembre 1981. Tuttavia, spiragli di luce sono visibili osservando la lettura dell’inflazione core, ovvero escludendo le categorie volatili di energia e alimentare, il cui valore si è assestato al 6,5%, leggermente inferiore rispetto alle attese del 6,6%.

Rendimenti obbligazionari statali che tuttavia continuano a non riuscire a coprire l’inflazione, anzi il cui gap continua sempre di più ad aumentare. Nel grafico sottostante osserviamo l’evoluzione del Treasury a 10 anni in relazione al livello di inflazione, con l’area rossa che evidenzia rendimenti reali negativi in crescente progresso.