Analisi - Fuga in avanti di Roma su nuova Via della Seta non priva di rischi

Reuters  |  Autore 

Pubblicato 15.03.2019 13:56

ANALISI - Fuga in avanti di Roma su nuova Via della Seta non priva di rischi

di Crispian Balmer

ROMA (Reuters) - L'antica Via della Seta era un intreccio di rotte commerciali che si estendeva dalla Cina all'Italia, lungo cui transitavano merci e idee.

Duemila anni dopo, l'Italia è di nuovo pronta a giocare un ruolo fondamentale nella nuova Via della Seta ideata dal presidente cinese Xi Jinping. Ma il progetto non è certo privo di rischi.

Il premier Giuseppe Conte è pronto a firmare un accordo preliminare quando Xi visiterà Roma la settimana prossima, agganciando l'Italia alla Belt and Road Initiative (BRI), progetto multimiliardario destinato ad ampliare la rete commerciale cinese.

L'aspirazione dell'Italia a essere il primo Paese del G7 ad aderire al piano irrita Washington e allarma Bruxelles, che paventano la svendita di tecnologia sensibile e l'accesso a infrastrutture strategiche da parte del gigante asiatico.

Con porti che offrono facili sbocco ai mercati più ricchi d'Europa, l'Italia è un ghiotto boccone per la Cina.

In cambio, il governo gialloverde spera di aumentare le esportazioni e gli investimenti per rianimare un'economia che sta attraversando la terza recessione degli ultimi dieci anni.

I critici dicono che Roma non ha valutato bene i rischi geopolitici, non ha consultato i partner occidentali e ha sottovalutato le preoccupazioni per le crescenti aspirazioni globali della Cina.

"Temo che fino ad ora abbiamo gestito la cosa in modo troppo amatoriale, senza un vero coordinamento", ha detto a Reuters Lucio Caracciolo, direttore dell'influente rivista di geopolitica di Limes.

"La mia paura è che alla fine perderemo su entrambi i fronti, non ottenendo nulla di sostanziale dalla Cina, mentre gli Stati Uniti si vendicheranno contro di noi per esserci avvicinati troppo a Pechino".

INERZIA ITALIANA

Il vicepremier e leader M5s Luigi Di Maio si è fatto promotore della politica pro-Pechino istituendo una task force al ministero dell'Industria con l'obiettivo di rendere l'Italia un partner privilegiato.

Molto più cauto, invece, l'altro vicepremier e leader leghista Matteo Salvini che mette in guardia contro la "colonializzazione".

Di Maio, che è anche ministro dell'Industria, ha visitato la Cina due volte negli ultimi otto mesi, scavalcando di fatto la Farnesina in questo delicatissimo dossier diplomatico.

La task force è guidata dal viceministro dell'Industria Michele Geraci, che ha vissuto in Cina per dieci anni. Né Di Maio né Conte avevano alcuna esperienza di dossier internazionali prima di arrivare al governo lo scorso anno.

"Quando sono tornato in Italia ho trovato una certa inerzia" rispetto alla Cina, ha detto il mese scorso a Reuters Geraci, ex professore di Economia. "Abbiamo bisogno di recuperare."

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Secondo Eurostat, Germania ha esportato in Cina beni per 93,8 miliardi di euro nel 2018, con la Gran Bretagna che segue con 23,4 mld, la Francia con 20,8 mld e il quarto con 13,17 miliardi di euro.

"C'è un enorme potenziale che altri Paesi stanno già sfruttando", ha detto Geraci.

Ciò che crea dubbi ai partner europei è il metodo adottato dall'Italia.

All'inizio di questa settimana, la Commissione europea ha bollato Pechino come "rivale sistemico" e ha invitato i leader Ue a sostenerla nel frenare le imprese statali cinesi.

L'Unione europea è sempre più frustrata dalla lentezza della Cina ad aprire la sua economia e da un'ondata di acquisizioni cinesi in settori cruciali, accusandola di concorrenza sleale.

Roma ritiene che tali preoccupazioni non dovrebbero impedire di stringere legami più stretti con Pechino e ricorda che 13 paesi Ue hanno già firmato Memorandum d'intesa con la Cina, tra cui Ungheria, Polonia, Grecia e Portogallo.

I maggiori esportatori europei in Cina non hanno però firmato Mou e quelli che lo hanno fatto non hanno molto da dimostrare, spiega Lucrezia Poggetti, research Associate presso l'Istituto Mercator per gli Studi sulla Cina di Berlino.

"Iscriversi al BRI senza tener conto delle considerazioni geopolitiche e senza fare domande concrete, sperando un giorno di poter ottenere qualcosa di economico in cambio, è molto ingenuo", ha detto Poggetti a Reuters.

IRRITAZIONE AMERICANA

Gli Stati Uniti, che sono nel bel mezzo di una guerra commerciale con Pechino, temono che l'iniziativa cinese per essere leader del trade globale punti a rafforzare l'influenza politica e militare del Paese, che potrebbe essere utilizzata per diffondere tecnologie di spionaggio in Occidente.

"Non c'è bisogno che il governo italiano dia legittimità al progetto di vanità infrastrutturale della Cina", ha detto oggi un portavoce dei consiglieri per la sicurezza nazionale della Casa Bianca. L'Italia ha cercato di rassicurare gli Stati Uniti, pubblicando una bozza del Mou per dimostrare che si tratta di un accordo quadro senza trasferimento del know how tecnologico temuto da Washington.

Si tratta di 50 accordi, che potrebbero essere firmati durante la visita di Xi in Italia tra il 21 e il 23 marzo, che coinvolgono tra gli altri Eni, Snam (MI:SRG) e Fincantieri (MI:FCT). Il Mou riguarderà anche lo sviluppo degli scambi attraverso i suoi porti di Genova, Trieste e Palermo.

"Prima di consentire a qualcuno di investire nei porti di Trieste o Genova ci penserei non una ma cento volte", ha avvisato Salvini.

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