Investing.com | Autore Alessandro Bergonzi
Pubblicato 01.12.2023 12:29
Investing.com – I mercati si sono appena lasciati alle spalle un novembre eccezionale, in cui il rendimento del 9% dell'indice S&P 500 ha rappresentato il settimo miglior mese di rendimenti degli ultimi 100 anni. Allo stesso modo, i rendimenti del benchmark del reddito fisso sono stati i più alti degli ultimi 15 anni. Un rally che porta gli analisti a chiedersi se l'allegria festiva di quest'anno non sia arrivata un po' troppo presto.
Secondo Rbc BlueBay, nell’esaminare la recente direzione dei prezzi non è cambiato molto nei fondamentali sottostanti da giustificare movimenti così estremi.
“Sicuramente i mercati erano depressi alla fine di ottobre e all'epoca ritenevamo che il precedente sell-off dei rendimenti a lunga scadenza fosse a quel punto eccessivo”, commenta Mark Dowding, fixed income cio di RBC BlueBay AM. Il FOMC di ottobre ha avuto una nota “dovish”, con Powell che ha riflettuto sull'inasprimento delle condizioni finanziarie in quel momento.
Tuttavia, il rally dei mercati da allora ha completamente invertito la tendenza all'inasprimento delle condizioni finanziarie. In questo contesto si potrebbe pensare che Powell si opporrà a una narrazione eccessivamente da colomba nella prossima riunione di dicembre. Un atteggiamento sostenuto dal fatto che seppur nel mese scorso l’inflazione è stata un po’ più contenuta, il CPI core sia comunque rimasto al 4%, un tasso doppio rispetto all'obiettivo della Fed.
Inoltre, secondo Dowding, la Fed riterrebbe maggiormente accettabile commettere un errore tenendo i tassi troppo alti per troppo tempo, così da rallentare la crescita, piuttosto che mollare troppo presto la stretta monetaria causando una nuova fiammata dell’inflazione.
In sostanza, per Rbc Bluebay probabilmente i tagli dei tassi Fed non arriveranno prima della seconda metà del 2024.
Sull’altra sponda dell’Atlantico, il calo dell’inflazione di novembre in Germania e Spagna ha aiutato i rendimenti dell'euro a salire nell'ultima settimana. “Questi rendimenti hanno ampiamente seguito i Treasury nel corso del mese, anche se con un beta leggermente inferiore, in linea con rendimenti assoluti più bassi”, spiega l’esperto secondo cui, nonostante gli ultimi dati, la Bce resta scettica sul fatto che l'inflazione torni verso l’obiettivo.
Da questo momento in poi, “gli effetti di base su base annua potrebbero diventare meno favorevoli di quanto non sia avvenuto di recente”, analizza Dowding. “In tal caso, la tendenza alla riduzione dei tassi d'inflazione potrebbe iniziare ad arrestarsi, dato che molti prezzi sono legati a variazioni regolamentate nell'Eurozona. Questa dinamica rende l'inflazione più ostinata qui di quanto non lo sia al di là dell'Atlantico”.
Il cio passa poi all’analisi dei rendimenti dei titoli di Stato, partendo da Italia e Germania. “Gli spread dei Btp italiani hanno sovraperformato di recente, con i rendimenti in calo. Poiché le tendenze politiche sono per il momento benigne, i timori legati alla sostenibilità del debito potrebbero essere positivamente correlati ai livelli dei rendimenti assoluti”. Detto questo, con i bund decennali al 2,4%, quando il cash è al 4%, per Dowding “è difficile entusiasmarsi troppo per le attuali valutazioni dei bund, e quindi è difficile prevedere che i rendimenti scendano di molto per il momento”.
Anche i rendimenti dei Gilt inglesi sono saliti nel corso della settimana, così come quelli dei JGB giapponesi. “Sembra che gli investitori globali abbiano chiuso le posizioni di short duration in base a una visione più rialzista della duration globale, ma continuiamo a sottolineare che il Giappone si trova in una fase del ciclo economico profondamente diversa da quella degli Stati Uniti o dell'Eurozona”, spiega l’analista, fortemente convinto che nel lungo termine i rendimenti dei JGB saliranno. Inoltre, prosegue, “Crediamo che i rendimenti dei Gilt dovrebbero essere superiori a quelli dei Treasury a lungo termine, dato che siamo pienamente convinti che l'inflazione rimanga a un livello elevato nel Regno Unito, rispetto alla situazione negli Stati Uniti”.
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Guardando al capitolo forex, poiché nell'ultimo mese i mercati si sono mossi in modalità “risk on”, nelle ultime settimane il dollaro è sceso rispetto a tutte le altre valute. “Tuttavia - osserva Dowding -, con il tasso di cambio dell'euro che ora si aggira intorno a 1,10, vediamo poco margine per spingere questo livello molto più in alto, considerando che l'economia statunitense continua a fare meglio di quelle di molti suoi omologhi globali”.
In effetti, continua, “sembra che il sell-off del dollaro abbia perso un po' di slancio negli ultimi giorni, anche se i rendimenti e le azioni hanno continuato a muoversi. Da questo punto di vista, nelle ultime due settimane abbiamo chiuso una serie di posizioni short sul dollaro legate ai mercati emergenti, in Cile, Indonesia e Cina. Tuttavia, siamo diventati più costruttivi sul dollaro canadese, ritenendo che questo sia rimasto indietro rispetto agli altri paesi nei recenti movimenti dei cambi”.
Altrove, “lo yen ha guadagnato con i rendimenti statunitensi che sono scesi. Tuttavia, continuiamo a pensare che un trend più forte della politica giapponese richiederà un adeguamento della politica monetaria della BoJ e continuiamo a considerare l'inflazione come un fattore scatenante di tutto questo. In questo contesto, terremo d'occhio i dati del CPI di Tokyo per il mese di novembre, quando saranno pubblicati all'inizio della prossima settimana”.
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Per quanto riguarda le previsioni future, “a dire il vero - ammette il gestore -, abbiamo visto come il nostro "outlook per l’anno prossimo" sia stato superato a soli due mesi dall’inizio del 2020, sulla scia di Covid, e allo stesso modo nel 2022 con la guerra in Ucraina. In modo simile, siamo colpiti dalla difficoltà che i previsori economici hanno trovato nell’anticipare con precisione la traiettoria della crescita e dell'inflazione negli ultimi due anni”.
Pertanto, sottolinea, “qualsiasi visione di medio periodo che sembri far suo uno scenario troppo ottimista dovrebbe essere certamente messa in discussione e contestata, a nostro avviso. Sebbene un atterraggio duro negli Stati Uniti appaia attualmente improbabile, chissà come sarà la situazione nella primavera del prossimo anno”.
Di conseguenza, Rbc BlueBay ritiene che “sia più sensato cercare di fare una valutazione di più breve periodo, cercando in un certo senso di valutare se questa probabilità di atterraggio duro sia destinata ad aumentare o a diminuire nei prossimi uno o due mesi, poiché, in un certo senso, è questo che guiderà i prossimi movimenti dei prezzi”.
Con il conto alla rovescia dell'avvento ormai iniziato, c’è ancora molto su cui riflettere nelle prossime due settimane. “Con i mercati che cercano di scontare un punto di svolta nel ciclo delle politiche monetarie, ci troviamo in un momento in cui i dati economici saranno attentamente esaminati”, ragiona Dowding.
“Allo stesso modo - aggiunge -, i commenti delle banche centrali saranno analizzati all'infinito, alla ricerca di indizi che possano corroborare il proprio posizionamento. Detto questo, osserviamo che il mercato oggi sta scontando un primo taglio dei tassi della Fed a maggio/giugno e con la curva dei rendimenti sostanzialmente invertita, l'onere della prova spetta ora ai “tori” delle obbligazioni”.
Da questo punto di vista, il gestore ritiene che i mercati siano attualmente più vulnerabili alla delusione se i dati economici rimangono relativamente positivi o se i commenti della Fed non si discostano molto dalle precedenti riunioni della Fed.
“In questo caso - conclude Dowding - ci chiediamo se, proprio come i clienti restituiscono i prodotti indesiderati comprati durante l’abboffata di acquisti online durante il Ringraziamento, i mercati potrebbero restituire parte degli impressionanti rendimenti di novembre prima della fine dell'anno. Di certo, ai nostri occhi sembra che il Natale sia arrivato un po' troppo presto... anche se, nel dirlo, non vorremmo sembrare troppo un Grinch natalizio”.
Scritto da: Investing.com
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