ANALISI - Italia si lamenta di nuove regole patto stabilità, ma ha motivi sollievo

Reuters

Pubblicato 21.12.2023 17:43

di Giuseppe Fonte e Antonella Cinelli

ROMA (Reuters) - L'Italia ha reagito con riluttanza all'accordo che fissa regole di bilancio più permissive per i paesi della zona euro, ma i dettagli del nuovo patto di stabilità e crescita dimostrano che Roma ha invece buone ragioni di sollievo, vista la pressione relativamente modesta sulla ridurre del debito pubblico.

La premier Giorgia Meloni definisce le nuove regole - valide a partire dal bilancio 2025 - migliori di quelle precedenti, ma si dice delusa che non sia stata prevista l'esclusione degli investimenti strategici dal calcolo del deficit e del debito.

"E' una battaglia che l'Italia intende comunque continuare a portare avanti in futuro", commentava in una dichiarazione della tarda serata di ieri, poche ore dopo la conclusione dell'accordo.

Il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti ha detto che il nuovo Patto di stabilità presenta "alcuni aspetti positivi e altri meno", aggiungendo che solo il tempo potrà dire se funzionerà in modo efficace.

A giudicare dalla reazione del mercato, l'intesa è positiva per l'Italia a dispetto dei commenti politici.

Lo spread tra i rendimenti dei titoli di Stato a dieci anni italiani e tedeschi si è ristretto oggi sui minimi da giugno. Il tasso Btp decennale è destinato a registrare il maggior calo mensile dal 2013, alimentato dalle speranze di un taglio dei tassi da parte della Bce.

Secondo Christopher Dembik, senior investment advisor di Pictet AM, il nuovo patto è "più realistico" per quanto riguarda la riduzione del debito e lascia più spazio agli investimenti.

"Questo è particolarmente positivo per l'Italia, che nei prossimi mesi potrebbe essere guardata con più attenzione dagli investitori a causa del continuo aumento del debito e del rallentamento della crescita. Riteniamo che questo patto contribuirà a ridurre la potenziale pressione sui governativi italiani", ha spiegato.

Il precedente Patto di stabilità è stato sospeso nel 2020 a causa della pandemia e da allora i programmi di spesa pubblica per rilanciare l'economia dopo lo shock del Covid insieme alla spinta Ue sugli obiettivi climatici, di politica industriale e sicurezza, hanno fatto lievitare il debiti pubblici degli Stati membri.

I criteri del Patto, ovvero un deficit di bilancio entro il 3% del Pil e un debito non superiore al 60%, sembrano quasi irraggiungibili per molti Paesi, in particolare per l'Italia.

ALLEGGERIMENTO DEL DEBITO

Roma ha chiuso l'anno scorso con un rapporto deficit/Pil dell'8%, gonfiato dalle costose agevolazioni fiscali per l'efficientamento energetico degli edifici, e con un debito del 141,6%.

Le previsioni per quest'anno indicano il deficit al 5,3% e il debito al 140,2% del Pil.

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Il programma economico pluriennale che Roma ha redatto a settembre con la Nadef mira a ridurre il rapporto debito/Pil appena di 0,6 punti percentuali tra il 2023 e il 2026, mentre le nuove regole Ue vorrebbero in media un taglio minimo di almeno un punto percentuale l'anno.

A prima vista, questo dovrebbe significare problemi per l'Italia, ma i dettagli suggeriscono un'altra storia.

La riduzione di un punto percentuale non si applica quando un Paese ha un deficit superiore al 3% ed è sottoposto a una procedura di infrazione per ridurlo.

Paradossalmente, ciò consente a Roma di trarre vantaggio da un deficit eccessivo, dato che la Commissione europea probabilmente la porrà sotto procedura d'infrazione l'anno prossimo, secondo una fonte governativa romana.

Inoltre, in base alle nuove regole, il periodo massimo concesso ai Paesi per il rientro del deficit è esteso a sette anni, e questo dovrebbe applicarsi all'Italia a condizione che attui nei tempi previsti il Pnrr.

Data la frequenza delle crisi economiche e finanziarie, questo comporta il rischio che il percorso di risanamento si interrompa continuamente, senza mai raggiungere il traguardo previsto.

Un altro vantaggio per l'Italia è che fino al 2027 la spesa per interessi sarà scorporata dalla richieste di riportare il disavanzo al 3% del Pil, lasciando più fondi nelle casse dei governi nazionali per gli investimenti.