Mercato difficile da leggere, per ora meglio lasciarlo ai trader

FinanciaLounge

Pubblicato 11.02.2019 10:35

Aggiornato 11.02.2019 12:42

Mercato difficile da leggere, per ora meglio lasciarlo ai trader

h2 Quello che è successo la settimana scorsa in Borsa a Milano e sui BTP fornisce un buon esempio delle contraddizioni di questa fase. Segnali di cautela dalle trimestrali USA, scenari a facce opposte in Europa./h2
La lettura dei mercati sta diventando un esercizio decisamente impervio. Prendiamo la giornata di giovedì 7 febbraio alla Borsa di Milano. Il mercato parte bene con i bancari in spolvero, Intesa reduce da risultati brillanti il giorno prima e Unicredit (MI:CRDI) che li ha appena presentati e viaggia in rialzo del 5% verso le 11. Poi a metà seduta qualcosa si guasta. Alle 13 italiane e un paio d’ore prima dell’apertura a Wall Street FCA presenta buoni risultati per il 2018 ma ridimensiona la guidance su utili e cash flow per il 2019 e il 2020. Il titolo fa un tonfo del 12% con effetti sul resto del listino. Un paio d’ore dopo apre Wall Street e apre male, interrompendo una serie positiva che va avanti da inizio anno. Il giorno dopo leggeremo che gli investitori sono innervositi dall’andamento incerto dei negoziati con la Cina sui dazi. In realtà il Libor a 3 mesi sul dollaro cade repentinamente di 4 punti base, un’enormità per un tasso a breve che viaggia attorno al 2,7%, un paio di punti sopra i Fed Funds, non succedeva da maggio 2009. Qualcuno sul mercato ci vede un segnale che la prossima mossa della Fed potrebbe essere al ribasso, causa brusca frenata dell’economia. Powell che nel giro di un paio di mesi dall’intenzione di alzare per almeno 2 volte quest’anno per poi andare in pausa e ora addirittura si prepara ad abbassare? Ce n’è per spaventarsi. E su Milano arriva la seconda botta più pesante. Se l’economia USA frena e la Fed abbassa, cosa caspita potrebbe succedere a quella italiana già in recessione tecnica? La nostra Unicredit incolpevole finisce la seduta in calo del 2%.

QUALCOSA NON TORNA TRA SPREAD E FAME DI BTP
Il giorno dopo i giornali ci spiegano che Milano è affondata con le banche perché la UE e il FMI hanno abbassato le stime di crescita italiana facendo salire lo spread. Ma erano informazioni disponibili in prima pagina degli stessi giornali già giovedì mattina, e non impedivano a Unicredit di salire del 5%. E poi c’è lo spread che si riavvicina a 300. Anche qui c’è qualcosa che non torna. Se è vero che lo spread alto segnala la percezione del rischio che l’Italia potrebbe non onorare il debito, allora come mai solo mercoledì 6 febbraio ben 400 investitori di tutto il mondo si sono messi in fila per comprare il BTP a 30 anni mettendo sul piatto offerte per oltre 40 miliardi, vale a dire in media 100 milioni a testa, pari a ben cinque volte l’importo offerto? Il trentennale è stato assegnato con una cedola del 3,85%, certo non disprezzabile di questi tempi, ma non troppo più alta del 3% che offre il titolo equivalente del Tesoro USA. Forse la storia del rischio emittente alla fine è un’ottima scusa per spuntare rendimenti interessanti, ma evidentemente nessuno ci crede fino in fondo, se c’è la fila per rischiare sul debito italiano sulla lunghezza dei 30 anni. E magari, ogni volta che dalla politica italiana escono dichiarazioni utili ad alimentare la scusa del rischio, c’è qualcuno che si frega le mani...

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** Il presente articolo è stato redatto da FinanciaLounge