Coronavirus, malati, a casa e curati al telefono. Quando cade la prima linea dei medici di base

Reuters

Pubblicato 06.04.2020 10:48

di Emilio Parodi e Silvia Aloisi

MILAN0 (Reuters) - "Vuol sapere perché sono morte tutte queste persone nella Bergamasca? L'unico motivo è la carenza di assistenza primaria, la gente è morta perché i medici non sono andati a visitare i pazienti per settimane. Punto".

Riccardo Munda, 38 anni, è medico di base a Selvino, in Val Seriana, e dal 13 marzo sostituisce anche un collega che prima si è ammalato e poi è andato in pensione, a Nembro.

Precisa che non intende affatto gettare la croce addosso ai colleghi, anche perché dopo che centinaia di medici di famiglia si sono ammalati e decine morti, è stata la stessa Regione Lombardia ad aver dato disposizione che, in assenza di mascherine disponibili, non uscissero per le visite domiciliari.

Ma la sua testimonianza offre un punto di vista che fa apparire l'enfasi sulla rincorsa ai posti di terapia intensiva quasi un'illusione ottica.

"Tutta questa corsa a costruire ospedali da campo, a realizzare sempre nuovi posti di terapia intensiva - precisa il dottor Munda - La gente semplicemente non deve arrivare al punto di aver bisogno di terapia intensiva, va visitata e seguita tempestivamente dai medici di assistenza primaria. Sono queste le strutture sul territorio che vanno rafforzate. Con misure di protezione adeguate per questi sanitari, per metterli in condizione di fare il loro lavoro".

VISITARE, VISITARE, VISITARE

Nelle prime tre settimane di marzo, continua il medico, "molti pazienti sono stati lasciati al loro destino. Lasciati a casa con una terapia impostata".

"Ma se questa terapia non viene verificata da un medico che va a visitare, che la modifica se è il caso o programma una terapia di supporto... Se tutto questo non avviene, i pazienti muoiono".

"Sa invece quanti morti di polmonite ho avuto fra tutti i miei mutuati di Selvino dall'inizio di questa epidemia? Zero. Neanche uno, e ho 700 assistiti in un paese di meno di 3.000 anime investito da questa infezione".

"E sa perché? Non perché sono più bravo, io sono solo un medico di paese - sottolinea - Semplicemente perché sono andato a visitarli. Esco a visitare tutti i giorni. Inizio la terapia ai primi sintomi, la modifico se serve, li seguo giorno dopo giorno. Tutto qua".

Una terapia antibiotica. "Ovviamente l'antibiotico non ha effetto sul virus. Quella che adotto è la linea guida per la polmonite, che è uno degli effetti provocati dal Covid 19 - precisa il medico - Curare tempestivamente la polmonite vuol dire semplicemente dare al corpo il tempo per combattere il virus".

Le mascherine se le era procurate, a spese sue, subito dopo il caso Codogno. "Le disinfetto da me, ho comprato apposta una Vaporella, faccio quel che posso. Camici monouso li scrocco a destra e a manca".

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I DECESSI CHE MANCANO AL CONTO UFFICIALE

Per dare una misura dell'incidenza dei decessi a casa, basta considerare lo studio condotto dall'Eco di Bergamo con l'istituto InTwig, che ha stimato che solo nel mese di marzo nella provincia di Bergamo sono morte 5.400 persone, oltre sei volte il numero dei decessi nello stesso mese dell'anno scorso.

Di queste, secondo lo studio, 4.500 sono da attribuire al coronavirus, più del doppio del bilancio ufficiale che viene dagli ospedalizzati.

Pietro Zucchelli, titolare dell'azienda di onoranze funebri Zucchelli, di Ardesio, che copre tutta l'alta Val Seriana, dice a Reuters che nelle ultime due settimane "ben oltre il 50% della nostra mole di lavoro è nelle abitazioni".

"Il lavoro per noi si è esattamente quintuplicato - specifica - Nelle settimane scorse dovevo occuparmi di 6-7 decessi al giorno, qui nei nostri paesini intendo, non sto parlando di Bergamo. E tutte le schede che sto vedendo dicono 'pomonite bilaterale' oppure 'insufficienza respiratoria'".

SILVIA, 11 GIORNI PER OTTENERE UNA VISITA

A Silvia Bertuletti, di Parre, Val Seriana, ci sono voluti 11 giorni di telefonate sempre più angosciate perché qualcuno venisse a visitare suo padre Alessandro, 78 anni, ma era troppo tardi.

"Mio papà ha cominciato ad avere la febbre sabato 7 marzo - racconta al telefono - Mercoledì 11 ho chiamato il sostituto del nostro medico di base, che si è ammalato ed è in ospedale, e mi ha detto di dargli la tachipirina. Due giorni dopo l'ho richiamato e gli ho detto che papà aveva sempre la febbre, anche con la tachipirina, e lui mi ha detto di portare pazienza, che c'era una forma virale in giro, che l'antibiotico non avrebbe fatto niente e che lui non poteva fare visite se non per problemi respiratori gravi".

Silvia però aveva un antibiotico a casa, lo dà al padre, e sabato e domenica la febbre passa, per tornare però lunedì.

"Martedì ho chiamato di nuovo il medico e gli ho chiesto se non era possibile avere uno straccio di visita di 10 minuti, e ancora mi ha risposto di no, che non usciva se non per problemi respiratori gravi, mi ha ripetuto di portare pazienza e alla fine mi ha detto che avevo fatto bene a dargli l'antibiotico e me ne ha prescritto un'altra scatola al telefono".

"La sera stessa ho chiamato la guardia medica dalle sette, e alla fine quando a mezzanotte mi ha risposto anche lui mi ha detto niente visite".

"Il mercoledì ha cominciato a stare ancora peggio e allora alla sera ho chiamato il 112, dopo tre telefonate mi fanno parlare con un infermiere che mi dice che la guardia medica deve uscire e che se invece arriva l'ambulanza portano mio padre in ospedale e non lo posso più vedere".

"Quindi ho richiamato la guardia medica e l'ho convinto a venire. Mio padre stava male, respirava a fatica 'Devo proprio andare a cercarlo il respiro', mi diceva. E' arrivato alle 23, ha detto che a mio padre bisognava fare un elettrocardiogramma e ha chiamato il 112 per far venire un'ambulanza".

"Se n'era andato da un quarto d'ora che mio papà ha cominciato a stare malissimo, allora l'ho richiamato. Lui è arrivato subito, ma mi ha detto che non c'era più niente da fare. Ha constatato il decesso all'una e dieci. L'ambulanza per l'elettrocardiogramma è arrivata all'una e venti".

"Mio papà è stato lasciato morire in casa, da solo - dice Silvia con la voce rotta - Come un sacco di altra gente del mio paese. Siamo un piccolo paese di 2.700 anime e solo a marzo abbiamo avuto 24 morti. Sento i numeri che danno in tv, ma dove lo collocano mio padre? E tutte le altre persone qui?".

"E perché non hanno chiuso la Bergamasca? Perché non l'hanno fatta zona rossa? Non ci fanno fermare qui, perché tiriamo il carretto, ci fanno lavorare".

"Siamo dei poveri martiri, anzi dei deficienti - conclude amara - Con i sacrifici che ha fatto mio papà... aveva 78 anni e stava benissimo. E comunque una fine del genere non se la merita nessuno, neanche chi ha 101 anni. Nessuno se la merita".

L'ATS: NESSUNO E' RIMASTO SENZA ASSISTENZA MEDICA

L'ATS di Bergamo in una risposta scritta a Reuters precisa di aver "istituito immediatamente continuità assistenziali diurne in nove sedi della provincia, nessuno è rimasto senza assistenza medica".

"E' una scelta precisa - continua la nota - di chiedere ai medici di gestire il più possibile via telefono i pazienti, di gestire gli ambulatori solo su appuntamento e di visitare le persone febbrili solo alla fine, per non far aumentare i contagi e non sprecare dispositivi assistenziali".

L'azienda sanitaria pubblica ricorda che al 31 marzo risultavano ammalati "142 professionisti, 103 sostituiti dai colleghi e 39 dalla continuità assistenziale diurna".

Le mascherine all'inizio non erano sufficienti "e anche per questo Regione Lombardia ha dato indicazioni che i medici di medicina generale non uscissero sul territorio".

Ora però i "dpi", dispositivi di protezione individuale, ci sono, dice l'ATS. E, continua, dal 19 marzo ci sono anche le Usca (unità speciali di continuità assistenziale) che solo negli ultimi cinque giorni di marzo "hanno effettuato 218 interventi con una media di 40 visite al giorno".

LARA: VEDER MORIRE TUO PADRE E NESSUNO TI AIUTA

Fuori tempo massimo per Giovanni Mapelli, 74 anni, anche lui di Parre.

"Quando vedi che tuo padre ti muore sotto gli occhi e nessuno ti aiuta... - sospira Lara, la figlia - Venivo su a casa tutte le sere dicendo 'mio papà sta morendo e nessuno mi aiuta, nessuno lo visita'. E' questo il cruccio che mi porterò alla tomba. Gli occhi spaventati di mio padre e nessuno che lo viene a visitare. E' questo il dramma".

Anche la mamma, Beniamina Capelli, 71 anni, si era ammalata, anche lei polmonite bilaterale interstiziale, ma ha fatto in tempo a essere visitata e presa in carico da un medico di un paese vicino, che Lara e il marito Roberto Seghezzi erano riusciti a trovare attraverso degli amici, che ha impostato una terapia e la sta salvando, ma che è potuto arrivare solo la mattina di lunedì 23 marzo. E Giovanni aveva chiuso gli occhi domenica sera.

"Mio papà ha cominciato ad avere febbre e mal di ossa il 16 marzo, ma voleva aspettare il nostro medico di base, che è ammalato - comincia il suo racconto Lara - Mia madre invece aveva tosse e la convinco a venire con me dal sostituto, a Ponte Nossa. Avevamo tutte e due la mascherina e i guanti, il sostituto aveva la doppia mascherina, ma non l'ha visitata e le ha dato tre giorni di antibiotico".

"Il 18 marzo mio padre aveva 39 di febbre già al mattino presto. Chiamo il 112 alle 9, mi richiamano a mezzogiorno e mezzo, una dottoressa parla con entrambi i miei genitori e poi mi dice che non c'è bisogno che vengano a vederli, che è un'influenza, e di farli vedere dal medico di base. Lui però non esce per questi sintomi, e la guardia medica diurna non mi risponde al telefono".

"Sabato 21 marzo mio marito si attacca al telefono per prendere la linea con la guardia medica. Dopo quattro ore la guardia medica risponde e dice che non può venire, allora richiamo il 112, mi mandano tre volontari, gentili, gli misurano la saturazione che risulta a 98 (la saturazione normale è sopra 95, ndr) , ma mio papà respirava a fatica e non era più lucido. 'Deve mangiare Giovanni, si tiri su che è solo influenza', gli dicono".

"Due ore dopo troviamo Nicoletta, un'infermiera di Itineris, per idratarlo. Arriva subito e immediatamente dice che non è possibile che abbia la saturazione a 98. Gliela riprova ed era a 58. Mi procura l'ossigeno da una signora deceduta, e domenica i valori un pochino migliorano. Nel frattempo attraverso giri che non le dico troviamo questo medico che può venire a visitare i miei genitori, ma solo lunedì mattina".

"Domenica pomeriggio mio papà comincia a respirare veramente male, chiamo Nicoletta, l'unica a cui potevo aggrapparmi di domenica e lei mi dice di chiamare subito il 112".

"Quando arriva l'ambulanza, la sera, mi dicono che i polmoni sono compromessi, non scambiano più ossigeno, lui è incosciente, e concludono che per il papà non c'è più niente da fare".

"Ma cavolo, gli dico, ha lavorato una vita. Possibile che non ci sia un posto per lui in ospedale?"

"Un posto c'è, mi rispondono, il punto è che non c'è più niente da fare".

"Allora gli ho chiesto di non lasciarmelo morire così, disperato, che non meritava una fine così".

"Quindi, col permesso della centrale operativa, hanno deciso di accompagnarlo. Con la morfina. In mezzora se n'è andato. Sul referto del 112 c'è scritto 'insufficienza respiratoria da verosimile Covid 19'. Nessuno ha fatto un tampone in casa mia, né a mio papà, né a mia mamma, né a mio marito né a me".

"La nostra sfortuna - aggiunge il marito - è stata trovare troppo tardi questo medico che continua a visitare e che ora sta curando mia suocera".

I MEDICI DI BASE: ANCHE NOI LASCIATI SOLI

Dall'altra parte del telefono c'è spesso però qualcuno che ha vissuto questa emergenza con non meno angoscia e frustrazione.

"E' stato un disastro, nessun aiuto a gestire questa emergenza enorme - ha detto al telefono a Reuters un medico venuto da un'altra provincia a sostituire due colleghi ammalati in due diversi paesi della Val Seriana - Le prime tre settimane di marzo sono state come un Vietnam".

"Mi ero portato una mascherina che avevo dalla mia ATS di provenienza, l'ho usata per tre settimane - ricorda, chiedendo di non essere identificato - La mattina ero in un ambulatorio a sostituire un medico, il pomeriggio in un altro ambulatorio a sostituirne un altro. Ricevevo dalle 300 alle 500 telefonate al giorno, dovevo gestire 3.000 mutuati. E la sera facevo visite domiciliari per i casi respiratori più gravi a prescrivere ossigeno, e per constatare i decessi, anche fino alle 22".

"Purtroppo abbiamo dovuto selezionare - precisa con la voce rotta dall'emozione - Per tosse e febbre non sono andato nelle case. Non era possibile. Sa in Valle quanta gente c'era con tosse e febbre? Tutti. Tutta la valle".

"E' triste, lo so. Vedere tutte quelle persone che vanno verso quel percorso e non riuscire a fermarle. Come crede che mi sentissi?".

Roberto Scarano è chirurgo e medico di base a Milano. Anche nel capoluogo regionale la situazione territoriale non appariva molto diversa, sino a qualche giorno fa. "Abbiamo lavorato senza protezione e nessuno ci ha fatto un tampone", ha detto a Reuters.

Anche lui ha dovuto lavorare soprattutto al telefono. "Devi chiedere le solite cose, sapere come stanno e vedere se tengono - dice - Le disposizioni che noi abbiamo dalla Asl: al paziente con una polmonite che non hai diagnosticato -- e al telefono le diagnosi non si fanno -- dai tachipirina e prodotti sintomatici per la tosse".

"Il problema è il ritardo gravissimo di provvedimenti adeguati per la medicina del territorio - conclude - Gli ospedali sono tutti impestati perché negli ospedali arrivano sempre e solo pazienti che hanno una patologia che si è aggravata nel 90% di casi dopo 12-13 giorni di disturbi, senza essere stati considerati da nessuno".

LE INFERMIERE: POTENZIARE ASSISTENZA A CASA

Maura Zucchelli, è una delle socie di Itineris, a Ponte Nossa, 19 operatori sanitari per assistenza domiciliare in Val Seriana e a Bergamo.

"Abbiamo in carico come attività ordinaria anziani con pluripatologie e anche pazienti oncologici e per cure palliative - spiega - Ma nell'ultimo mese è quintuplicato il numero di pazienti da seguire".

"Quel che è successo con questo genere di pazienti sospetti di Covid 19 è che chiamando il 112 veniva fatta una scrematura, ti chiedono quanti anni ha, fanno tutta una serie di valutazioni e ti dicono: non veniamo a prenderlo, va gestito a domicilio".

"Oppure sono le famiglie che ti chiedono di non chiamare l'ambulanza, perché si sono già visti portare via un loro caro, senza più poterlo vedere, e allora la seconda volta che succede, ti chiedono di lasciarlo a casa, che lo vogliono accompagnare standogli accanto".

"Sono così tanti casi così, così tanti - dice - Io non voglio abituarmi a vedere così tante persone morire. Non voglio, perché più passa il tempo e più corri il rischio di abituarti.

"Anche prima vedevamo i pazienti morire, perché è un percorso, li seguiamo per anni, e c'è un accompagnamento. Invece ora vai a casa del paziente, lo prendi in carico e nell'arco di 48-72 ore muore".

Sara Grigis è un'infermiera di Selvino, della cooperativa Generazioni FA che copre tutta la media Val Seriana.

"Nelle settimane passate è stato tutto più duro - ricorda - C'era una penuria pazzesca di bombole d'ossigeno. Dovevamo persino andare a casa di chi era deceduto e sapevamo che aveva ancora bombole, le prendevamo, le disinfettavamo e le portavamo a chi ne aveva bisogno".

"Questa cosa dei letti di rianimazione va vista in un altro modo - spiega - Se per esempio noi lasciamo una persona per 15 giorni con la febbre alta, poi non satura... io in quei giorni avevo paura a entrare nelle case perché trovavo gente con ipossia cerebrale che chissà da quanti giorni saturava 80-81, e ti guardava con gli occhi sbarrati.... Prima di arrivare a questi livelli forse, se fossero stati visti prima, non ci sarebbe stato bisogno della terapia intensiva".

"Bisogna potenziare tantissimo l'assistenza domiciliare".

"Non mi sento di giudicare nessuno però - conclude - Molti medici non son potuti uscire perché o erano malati o erano in quarantena... e poi se non gli davano i presidi di protezione personale mica potevano obbligarli a uscire lo stesso".

IL SINDACO DI NEMBRO E I "VISITATI"

Chi ha avuto la fortuna di essere visitato però, si è reso conto della differenza. Come dice anche il sindaco di Nembro, Claudio Cancelli, uno dei comuni più colpiti.

Il primo cittadino, dopo aver ricordato che il Comune ha attivato una serie di servizi di emergenza, come una rete per la spesa a domicilio, un accordo con gli artigiani per garantire interventi d'urgenza, un notaio che risponde sui più vari adempimenti burocratici, un servizio con tre avvocati volontari, vuol sottolineare l'importanza delle visite a domicilio.

"Questo dottore, da Selvino, sta collaborando tantissimo anche con noi a Nembro ed esce a visitare anche pazienti non suoi. Va detto".

Mara Tiraboschi, da Trezzo sull'Adda racconta: "Mia madre Elda sta a Selvino, il 9 marzo ha cominciato a respirare male. E' venuto il suo medico di base, il dottor Munda, le ha fatto avere l'ossigeno, le ha prescritto una terapia antibiotica per flebo, idratazione, è venuto a visitarla diverse volte, e ora, nonostante i suoi 77 anni, diversi acciacchi e una neoplasia polmonare, ora dopo 11 giorni sta meglio, si è completamente ripresa".

"Mia madre ha cominciato ad avere 39 di febbre il 5 marzo, e mi è venuto un colpo perché è sempre stata bene ma, sa, ha 87 anni - dice al telefono Donatella Grigis, 57 anni, da Selvino - Ho chiamato la guardia medica che mi ha detto di darle la tachipirina, ma la febbre non scendeva, allora l'ha vista il dottor Munda; per lui era polmonite e le ha dato l'antibiotico per flebo ed è venuto a rivederla un po' di volte. Ora sta bene, mangia, la faccio bere tanto".