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Giappone in ripresa, petrolio ai massimi dal 2015 e Amazon imperversa

Pubblicato 30.10.2017, 15:56
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Gentili Lettori di Investing.com,

in una settimana contraddistinta dall'incalzante retorica di Trump circa un a (presunta) imminente riforma fiscale (si tratterebbe di un taglio delle tasse per le imprese USA dal 26% al 20% per ora) e dalla riunione della BCE che ha deciso di ridurre ma estendere in durata il programma di Quantitative Easing (favorendo il deprezzamento dell'euro e dei rendimenti obbligazionari in Eurozona), altri eventi economico/finanziari hanno assunto una rilevanza significativa.

Il Giappone sarebbe in forte ripresa se non fosse stato oggetto di minacce reiterate da parte della Nord Corea nel corso dell'anno.

Il primo ministro Shinzo Abe, fresco di una rielezione a capo del governo simile ad un plebiscito in suo favore, ha le idee chiare: per rilanciare i consumi, gli stimoli monetari (QE ad esempio) non bastano ma occorre agire alla fonte della distribuzione della ricchezza, cioè sui salari.

Per spronare l'inflazione, infatti, non è (più) sufficiente stampare moneta, indebolire il tasso di cambio e ridurre la disoccupazione se poi le imprese, per conseguire utili crescenti richiedono personale a buon mercato...è necessario fare in modo che la pressione al rialzo dei prezzi venga dal basso, cioè dai consumatori attraverso un salario in linea con la ripresa economica; risulta difficile tuttavia pensare che tale misura possa essere adottata dai governi occidentali.

L'imponente crescita economica (persino gli uragani non sono riusciti ad arrestare la crescita USA nel terzo trimestre; +3% su base annua), le aspettative di un'estensione dell'accordo tra Opec e Russia circa l'estensione a fine 2018 dei tagli alla produzione e le crescenti tensioni in Medio Oriente, hanno fornito una spinta propulsiva considerevole al prezzo del greggio con il Brent ai valori massimi degli ultimi due anni.

Per ciò che attiene i risultati trimestrali del Big Companies americane, da segnalare il considerevole aumento dei ricavi dei colossi tecnologici Amazon (NASDAQ:AMZN), Microsoft (NASDAQ:MSFT) e Google (NASDAQ:GOOGL).

Una menzione particolare merita proprio l'inarrestabile ascesa della società di Jeff Bezos, che recentemente ha ottenuto l'approvazione da alcuni stati USA a poter vendere online farmaci generici; l'incremento delle vendite rispetto al terzo trimestre 2016 è stato spaventoso.

Escludendo i ricavi generati dall'acquisizione della catena di supermercati Whole Foods e l'impatto valutario favorevole (il dollaro USA ha perso circa il 10% del proprio valore nell'ultimo anno di fatto favorendo l'incremento dei profitti generati all'estero) Amazon ha aumentato i ricavi del 29% .

Si stima che il 44% delle vendite online al mondo avvenga tramite Amazon...notevole.

Eppure, la società, visti gli ingenti investimenti in sviluppo della tecnologia e in spazi che fungono da magazzini, è a mala pena a brek-even (ricavi - costi di poco positivi)...

Preoccupante è il potenziale effetto distruttivo che Amazon potrà avere in un futuro ormai non così lontano sui negozi fisici (e pertanto su milioni di posti di lavoro) non solo in America (dove librerie, negozi di abbigliamento e di alimentari sono già in bancarotta) ma a macchia d'olio su tutto il mondo.

E se la prossima crisi non fosse finanziaria ma dettata proprio dalla valanga Amazon?

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