Ci siamo. Oggi alle 14:30 uscirà il dato sull’inflazione USA di ottobre (stima 8% contro 8,2% di settembre). Un valore significativamente più alto dell’8% sarebbe una notizia sgradita per i mercati perché vedrebbe probabilmente Powell “costretto” ad alzare i tassi di ulteriori 75 bp, togliendo la benzina al rialzo iniziato ad ottobre. Viceversa, valori significativamente sotto l’8% sarebbero invece graditi per gli investitori, che rafforzerebbero la convinzione che il picco di inflazione sia ormai alle spalle e, pur senza abbassare la guardia, consentirebbe alla FED di ridurre l’intensità degli aumenti (Goldman Sachs (NYSE:GS) stima che a dicembre il rialzo dei tassi sarà di 50 bp). Vedremo.
Nell’incertezza, sappiamo che Powell ha sempre sottolineato che l’intensità del rialzo dei tassi dipenderà dai dati. Tenuto conto della flessione del costo dell’energia (che ha un impatto anche sull’inflazione USA), della distensione delle catene di approvvigionamento e del manifestarsi dei primi effetti degli aumenti dei tassi (che come noto richiedono 6-9 mesi), è possibile vedere nei prossimi mesi un’inflazione che scenda con maggiore convinzione rispetto ai mesi scorsi. Difficile che l’effetto sia già visibile oggi (Goldman Sachs stima un 8,1%).
Il dubbio è relativo a quanto la crescita dei prezzi si sia ormai infiltrata nei settori produttivi (PPI) e quanta parte si sia già scaricata a valle (CPI), oltre alla verifica della resilienza dell’inflazione core. La maggiore intensità della discesa inflattiva, l’indebolimento del mercato del lavoro e la possibile recessione, potrebbero spingere Powell ad essere meno falco. Il che non significa che abbia finito di alzare i tassi. Dipenderà appunto dai dati.
Un segnale importante è arrivato dal mancato annuncio dell’atteso piano di buyback sui treasury, che avrebbe dovuto rendere più liquido e meno volatile il mercato dei bond. L'operazione twist (così è stata definita) consisterebbe nell'emettere titoli di Stato a breve per comprare Treasury a lunga scadenza, con l’obiettivo di frenare il rialzo dei tassi nella parte lunga. Questa avrebbe dovuto essere inserita nel piano di finanziamento trimestrale del Tesoro, e invece è stata rinviata e l'amministrazione Biden ha fatto sapere che quando verrà decisa, sarà preannunciata con un congruo preavviso.
Nel frattempo la curva dei rendimenti USA tende sempre più ad invertirsi, con il tasso del 10 anni che è salito al 4,1%, mentre quello del 2 anni si è impennato ancora di più, arrivando al 4,8%.
I mercati, alla luce della crescita messa a segno da ottobre, potrebbero ulteriormente crescere solo se i dati di inflazione si mostrassero decisamente migliori delle aspettative. Diversamente, visto che la FED in questa fase non è sicuramente pro mercati preferendo tenerli ancora un po’ in tensione, è probabile che si registri un aumento della volatilità con una maggiore tendenza al ribasso più che al rialzo.
Le buone notizie ci aspettiamo che possano arrivare dall’Ucraina. Ad elezioni cinesi concluse, passate quelle USA di mid term e con il G20 in Indonesia, Biden e Putin potrebbero incontrarsi, con Xi Jimping a fare da mediatore e probabilmente reclamare un ruolo più attivo nella politica e nell’economia internazionale (do ut des).
Attenzione però, perché la fine del conflitto (che tutti speriamo), non risolverà con un colpo di bacchetta gli strascichi economici lasciati da due anni di pandemia e un anno di guerra (non ci sarà una deflazione). Per quello ci vorrà del tempo. Ma siccome i mercati tendono ad anticipare le tendenze, è possibile che in questa ipotesi i mercati possano mettere a segno una performance positiva.
Con questo scenario, riteniamo che gli investimenti che potrebbero dare maggiori soddisfazioni sotto il profilo del rischio/rendimento sono quelli verso le società con bassi livelli di indebitamento, marginalità mediamente più elevata rispetto a quella media del proprio settore e sostenibile, vantaggi competitivi chiari e controllo delle catene di fornitura (preferibilmente corte).
Caratteristiche che, lo ribadiamo, è più agevole trovare nelle piccole e medie imprese, grazie alla maggiore agilità e flessibilità operativa e decisionale.