Stress finanziari e notizie inattese mettono ancora una volta sotto pressione la Turchia. Banche italiane ed europee le più esposte
Ancora una volta la Turchia è coinvolta in uno tsunami finanziario. Per la terza volta in due anni Erdogan ha deciso di licenziare il governatore della Banca Centrale, accusando in questa occasione Naci Agbal di aver alzato i tassi d’interesse troppo in fretta andando a incidere pesantemente sulle casse dello Stato. Il contraccolpo è stato immediato, con la Borsa di Ankara in ribasso del 9% e la lira in caduta libera di circa il 15%, ovvero tutto quello che aveva guadagnato da quando Agbal era stato nominato a novembre. Una perdita di credibilità istantanea della Banca centrale che prolunga lo stato di crisi della Turchia, che già da qualche anno soffre della debolezza della propria valuta, che ha visto negli anni il cambio passare da 2,50 a 10, con conseguente deprezzamento del 75% per qualsiasi investimento in valuta.
La vicinanza all’Europa, non solo da un punto di vista geografico, ma soprattutto commerciale, e quindi finanziario, estende gli effetti di questa svalutazione anche alle banche europee andando a colpire le aziende maggiormente esposte, i bancari. Una ripercussione che coinvolge molti soggetti sul campo europeo e l’esposizione ammonta a diversi miliardi: a fine 2017 erano 264 i miliardi di dollari detenuti dalle banche estere in Turchia e secondo il Bollettino trimestrale della Banca dei Regolamenti alla fine del terzo trimestre 2020 questa esposizione si era ridotta a 171 miliardi, di cui quasi 60 miliardi detenuti da banche spagnole ( non è un caso che oggi il BBVA (MC:BBVA) ceda il 6,5%) , 26 miliardi da banche francesi ( debole oggi anche BNP Paribas) e 6,8 miliardi tra quelle italiane ( erano ben 17 i mld a fine 2017) .
Contestualmente, la partita è aperta su più fronti e i listini azionari, dopo la scadenza tecnica di venerdì, faticano a rimanere su questi livelli di massimo, rendendo difficoltosa la scelta per investimenti di lungo periodo. Tra i titoli su cui potrebbe scattare qualche presa di beneficio, Intesa Sanpaolo (MI:ISP) graficamente sembra sia arrivato ad un punto di arresto, ovvero i 2.35 euro di quotazione, livello al quale scambiava nei periodi precedenti al Covid. In una situazione di incertezza, unita ai possibili rischi di questo stress valutario, il rischio rendimento per rimanere esposti su questa azione non è più favorevole anzi, si potrebbe sfruttare quella che potrebbe essere una presa di beneficio da questi livelli di resistenza.
Sfruttando la gamma di certificati messi a disposizione dall’emittente UniCredit (MI:CRDI), segnaliamo la possibilità di apertura di una posizione corta (ISIN: DE000HV471Z7) che permette di partecipare con una leva di 7,71 volte la lineare. La struttura presenta lo stop loss intrinseco sulla posizione a 2,58 euro, pertanto il raggiungimento di tale livello provocherebbe l’azzeramento del prodotto. Un target di movimento può essere rappresentato dal livello dei 2 euro, sul quale ha lateralizzato per diverso tempo per poi partire al rialzo. Al momento l’acquisto è possibile ad un prezzo di 0,303 euro.
Si ricorda che utilizzando leve maggiori, si avrà una maggiore oscillazione dei prezzi ma anche un minor esborso di capitale. E’ sempre opportuno fare riferimento al capitale che si intende controllare, anziché a quello investito realmente: ipotizzando, a titolo di esempio, di voler controllare 10.000 euro, investiranno 1000 euro con Turbo a Leva 10 e 2500 con Turbo a leva 4. Il risultato operativo dell’investimento sarà tuttavia il medesimo a fronte, sempre a titolo di esempio, di una variazione positiva o negativa dell’1%.
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