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Traders: i vizi e le virtù.- parte prima: istituzionali-

Pubblicato 08.01.2015, 17:17
Aggiornato 09.07.2023, 12:32
GASI
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Vuoi che il trading ci appare come un modo per fare molti soldi senza sforzo alcuno, o perché abbiamo inizialmente immaginato che possiamo diventare ricchi subito, tendiamo a non riflettere a sufficienza sul rischio degli investimenti finanziari e sulle condizioni generali che regolano il trading presso i brokers o le banche. Partire in questa attività con aspettative esagerate, dettate dalla figura del trader ideale che vogliamo divenire, senza peraltro conoscere come si fà è l’ostacolo più grande che incontriamo. I bambini che dicono quello che vogliono fare da grandi hanno davanti a loro il lato migliore di quel modello che vogliono personificare: la forma e non la sostanza. Per chi vuole essere il trader (il vero trader, il professionista) ci sono molte definizioni di contesto e delimitanti del ruolo, ma non espressioni positive. Ad esempio il trader “non viene qui a dire a noi come si guadagna”; “se ci capita di incontrarlo ci dice solo quello che vuole….” La sostanza però ci è sconosciuta.
Quando, parecchi anni fa, iniziai a lavorare per una grande società finanziaria, fui introdotto dal docente con cui avevo fatto la tesi di laurea, attraverso un head hunter. Mi disse: “Ricordati che De Coubertin è un pirla”. L’head hunter mi avvisò subito: “non ci si presenta col fare di << so’ figo so’ bello so’ fotomodello: abbigliamento classico e umiltà!>>. La mamma era contentissima -sic- che avrei indossato i vestiti del bancario bacchettone: il nonno era stato uno dei fondatori della cassa rurale del paesello! Riviveva tutta l’etica solidale delle banche dei contadini spuntate nel dopoguerra.
Quei vestiti erano scomodi e mi ci trovavo dentro imbalsamato. Però sarei entrato in ufficio, avrei lanciato il Sole 24 ore sulla scrivania, mi sarei seduto sulla poltrona girevole e la segretaria mi avrebbe dato la lista degli impegni della giornata… In verità entrai nel Palazzo della banca d’affari e il portiere si scomodò subito alla mia vista: mi accompagnò all’ascensore tra marmi e capitelli e premette il piano della direzione. Appena entrai mi dissero che ero atteso al piano sotto per la riunione. Lì trovai neolaureati come me, ma in jeans e camicia pronti a prendere appunti su “contango e backwardation” del rame al LME. I sorrisi non si contavano sulle facce dei dipendenti: ero arrivato… come Totò a Milano vestito per il polo nord a dire in una lingua che pretendeva di assomigliare al francese: “noios… volevam savoir..” Nei giorni successivi fu molto rilassante reindossare i miei panni e abbandonare le idee peregrine che mi ero fatto sulle attese.
E’ dunque molto bello credere che per essere un trader basti indossarne i panni, ma la realtà è ben diversa. Un trader, un gestore, un money manager, un analyst, un advisor, un portfolio builder, hanno dietro uno strategist che vede molto oltre e tutte le figure sono organizzate e controllate strutturalmente. Ci sono procedure ferree da cui non ci si discosta. Non c’è spazio per sognare e accentrare il tutto diviene molto improbabile. Poi essere market maker non è certo lo stesso che essere parco buoi.
I vizi e le virtù di quelli che lavorano con i soldi degli altri sono di natura diversa da quelli che attanagliano i retail. Lavorare per una grande istituzione suggerisce sempre qualche espressione tipo: “per i piani alti noi siamo numeri”; “non sappiamo molte cose che loro sanno”; “se ci hanno detto di concentrarci su questo, allora significa che sanno qualcosa….” La natura umana è molto tendente a crearsi scenari e aspettative prendendo qualsiasi spunto anche insignificante.
C’è chi crede di aver individuato da una mezza frase intercettata in ascensore l’informazione privilegiata che gli permette di guadagnare molto; c’è anche chi, di livello esperto, condivide con altri del settore, conosciuti ai convegni o ai master, le strategie quotidiane e crea dei cartelli improvvisati tra banche, con lo scopo di ottenere lauti guadagni e avanzamenti di carriera (vedi anche le inchieste su taluni traders delle principali banche mondiali che si scambiavano strategie di mercato nei forum “The Cartel” o “Bandit’s Club”). Pur avendo tutti gli strumenti per realizzarsi senza cercare scorciatoie, qualcuno non resiste al fascino del proibito. La consapevolezza che non basta aver ragione, ma occorre che la ragione sia sostenuta dal potere, dà adito alle velleità di strumentalizzare qualsiasi cosa. Nella vita, le persone di mia conoscenza affette da questi vizi, posseggono gli status symbols dei loro ruoli, però come tutti, non si sognano di prendere uno solo degli status dei superiori: va bene Cannes a Ferragosto, ma guai a presentarsi a Montecarlo… Avendo a che fare con chi poco mastica del settore, si comportano esattamente come il meccanico che presenta un conto al cliente per un cambio d’olio da 10 litri in una macchina con la coppa di 4. Le loro relazioni sociali con esperienze esterne al settore non sono fatte di scambi di opinione, ma di vaticinio. Non si può affrontare un argomento di cui non sono a conoscenza perché il congedo arriva repentino con la tipica risposta: “sono un ragazzo che non sa…”. Essere tagliati fuori per capriccio o pulizia sommaria quando la situazione lo richiede è rischio persistente anche per essi e ci devono fare i conti mantenendosi nel precario equilibrio che si sono scelti.
I virtuosi sono invece di un’altra pasta. Sono le facce pulite che non fanno che il proprio lavoro con impegno e dedizione. Non c’è affermazione di personalità nel ruolo e non dimostrano patologie tipiche dell’arrampichismo sociale. Nessuno di essi esprime una proiezione speculativa sul lavoro che sta svolgendo, che non sia strettamente attinente alle tempistiche, alla qualità e al project managing.
Concentrati sulla sostanza e non sulla forma, indossano capi morbidi anche di velluto che non esaltano la personalità. L’approccio al mondo è quello di esprimersi nel ruolo e nelle regole, senza pretendere di farle.I primi dicono spesso dei secondi: “ al mondo ci sono due categorie di persone: chi fa le regole e chi le segue”. Ritornelli che suggeriscono le compresenza dei due emisferi e che assieme a quelli più sopra citati (ed altri…) danno idea delle orbite gravitazionali in cui si espletano i sottoinsiemi del settore.
Se volessimo andare fuori tema e dilungarci su un vizio sistemico, avremmo con quanto scritto sopra le premesse per comprendere e delineare la genesi del “moral hazard” e capiremmo anche come le istituzioni finanziarie siano in grado di cambiare pelle (con le facce pulite) senza di fatto cambiare nulla.

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Ultimi commenti

Capisco la Sua amarezza. Non di rado facciamo riferimento all' &quot;incognita vettoriale&quot; per la &quot;quantificazione dei surplus numerici IR&quot; e più di qualcuno la chiama ancora col Suo nome. Sono un ragazzo che non sa!. P.s. A Londra Lei avrebbe ancora tutte le porte spalancate!
Big too fast!. E' quantomeno inaspettata la forma e il tuo aver risposto in pubblico di cose private. Sulla deferenza no comment. Poi sei tornato anche tu da Londra per Algebris o sbaglio?
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