Xiaomi (HK:1810) è il terzo produttore al mondo di smartphone (dopo Apple (NASDAQ:AAPL) e Samsung), con una quota di mercato dell’11% a livello globale, proprietaria sia del brand Xiaomi che di quello Redmi, con una forte esposizione al mercato asiatico, in particolare cinese. Oltre agli Smartphone (che valgono ca. il 60% del fatturato), Xiaomi è attiva anche nei prodotti IoT e Lifestyle (come le smart TV, frigoriferi e altri “white goods”, 28% dei ricavi), nei Servizi Internet (10%) e in altri prodotti ancillari (2%).
Il mercato degli smartphone è decisamente oligopolistico, in cui le dimensioni sono una leva importante per mantenere i costi sotto controllo. Non a caso, ad eccezione di Apple (la cui strategia è improntata sulla premiumizzazione dei prodotti), la maggior parte dei produttori sono di origini asiatiche, in particolare cinesi (Xiaomi, Huawei e BBK Electronics, proprietaria dei brand OPPO, Vivo e Realme).
Ma a differenza di Apple e di altri produttori hardware, la strategia di Xiaomi è quella di vendere a prezzi estremamente bassi (come testimonia il bassissimo Return on Asset pari appena all’1,3%, emblema dei margini di vendita e del potere negoziale della società nei confronti dei clienti) per sviluppare un ecosistema (oggi la società conta 600mln di utenti attivi contro i 200mln di 5 anni fa) per poi cercare di monetizzare tramite il cross-selling di altri prodotti (es. smart TV, smart watch, cuffie, servizi internet…).
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Ed è proprio questo uno dei motivi principali che ha condannato il titolo nell’ultimo periodo: nonostante un’ottima crescita operativa, con ricavi aumentati del 12% all’anno negli ultimi 5 anni e l’EPS in crescita del 23% annuo in media, il titolo Xiaomi nello stesso periodo ha visto il suo valore comprimersi di ca. il 50% dai valori del 2018, impattato da una domanda in rallentamento (sui lockdown in Cina e sugli impatti del caro vita) e dall’aumento dei costi che si è riflesso in un calo degli utili nel 2022 di oltre l’80%. A questo si sono aggiunte le consuete difficoltà per le società cinesi per effetto della perdita di fiducia degli investitori sulle politiche fiscali e strategiche di Pechino e del rafforzamento del Dollaro.
Per il 2023 gli analisti si attendono ricavi piatti rispetto al 2022 e un forte rimbalzo degli Utili. Finora l’anno è cominciato con luci e ombre, con Ricavi del 1Q23 in calo del 19% (quando gli analisti si attendono un calo dell’1% sull’intero 2023), ma Utile Netto a RMB4,2mld (quasi la metà rispetto al valore atteso dal consensus per l’intero anno), soprattutto per effetto del piano di taglio costi posto in essere dalla società.
Ciononostante, considerando che le azioni cinesi potrebbero ancora scontare l’ultima coda di rialzi da parte della Fed (con conseguente rafforzamento del Dollaro a svantaggio dei mercati emergenti) e in virtù di uno dei periodi più difficili per il settore smartphone (le vendite sono attese in calo a livello mondiale), è probabile che Xiaomi non brilli particolarmente in Borsa e possa ancora rimanere debole. Nel lungo periodo, la società ha certamente una storia operativa interessante, ma gli investitori interessati al titolo dovranno necessariamente tenere sempre a mente che in un periodo di prezzi mediamente più elevati e tassi conseguentemente più alti (che forse ci accingiamo a vivere nei prossimi anni), società a bassi margini finiscono inevitabilmente per soffrire.
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