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Growth scare

Pubblicato 15.02.2019, 09:49
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La domanda chiave che gli investitori devono porsi è se l’innegabile rallentamento globale che abbiamo davanti siagenerato da fattori temporanei o invero più strutturali. Tra i primi si possono annoverare il conflitto commerciale Cina-Stati Uniti, lo shutdown governativo di gennaio, l’incertezza originata dalla Brexit, la crisi di fiducia dei mercati della fine del 2018. Come si vede sono tutti temi che, anche se non risolti, hanno buone probabilità di essere tenuti sotto controllo (leggasi procastinati con il classico ‘kick the can down the road’), come ritengo saràil caso del conflitto Washington-Pechino, destinato ad accompagnarci per lungo tempo anche senza l’inutile pubblicità di una rottura conclamata, e conseguentemente non in grado, salvo imprevedibili errori politici, di rappresentare una fonte definitiva di avversione al rischio. Potrebbero essere invece all’opera delle dinamiche più persistenti e meno addomesticabili, tutte accomunabili all’evidenza di essere ormai non troppo lontani dalla conclusionediun ciclo espansivo durato quasi un decennio: il ciclo di normalizzazione monetaria della Fed, iniziato ormai da 3 anni; il livello di leva e indebitamento nel sistema (stavolta nel settore privato, non nelle banche); il decrescente appetito dei consumatori per beni ciclici (case e auto); lo svanire dello stimolo fiscale della riforma Trump.

Retail Sales Ex Autos

Fonte: Holger Zschaepitz

USA: dati molto deboli. Ieri è stato appunto colpito questo nervo scoperto con una serie di dati americani preoccupanti, a cominciare dalle vendite al dettaglio (da notare che il dato si riferisce ancora alla situazione di dicembre per il ritardo accumulato dalle agenzie governative a causa del recente e prolungato shutdown). Ian Shepherdson, autorevole analista indipendente della situazione macro statunitense con la sua boutique di ricerca Pantheon Macro, ha definitola rilevazione “in one line: unbelievable”. In effetti il dato è stato così tanto sotto le attese da far scattare l’immediata ricerca a fattori particolari in grado di spiegare una simile debacle: varie tipologie di misurazione hanno mostrato una contrazione m/m superiore all’1% quando ci si aspettava una crescita positiva seppur modesta. In particolare Pantheon fa notare come questo dato non si riesca a riconciliare con la serie Redbook delle vendite rilevate nelle catene di negozi che, in particolare sotto Natale, aveva fornito un quadro ben più robusto. In molti hanno indicato la volatilità ribassista con cui i mercati finanziari hanno chiuso l’anno come una determinante che ha inibito i consumatori nel mettere liberamente mano al portafoglio. Immagino dovremo aspettare la rilevazione di gennaio per valutare meglio quest’ipotesi. La congiuntura debole ha trovato conferme anche nella rilevazione dei sussidi di disoccupazione, per la terza settimana consecutiva nettamente sopra le attese dopo aver toccato il 18 gennaio il minimo all-time a 200k, e delle scorte di magazzino. Con una giornata così in salita per gli economisti (Michael Feroli di JP Morgan (NYSE:JPM) ha intitolato il suo recap “il massacro di San Valentino”) non potevano che fioccare le revisioni al ribasso sulla crescita del Q4 (q/q annualizzata) a stellee strisce: da 2.6% a 2.0% JP Morgan appunto, da 2.8% a 2.1% Barclays (LON:BARC), da 2.5% a 2.0% Goldman Sachs.

Revisioni

S&P 500

Per quel che vale... casi di contrazione così estrema delle vendite al dettagli hanno precedutoribassi importanti del mercato ma(2008 a parte)su orizzonti medio lunghi(1Y o più)...fonte: DB sales desk

Considerando che al disagio macro si è aggiunto anche qualche immancabile patema politico, la sessionea Wall Street è risultata anche meno torrida di quello che avrebbe potuto essere (S&P 500 -0.3%, Nasdaq +0.1%). Da Pechino (sono entrati in azione i grossi calibri, Mnuchin, Lighthizer, Liu He) è arrivato qualche spiffero gelido (U.S.-CHINA TRADE TEAMS SAID TO BE FAR APART ON REFORM DEMANDS) anche se corredato anche da aperture all’ottimismo:oltre alla proroga di 60 giorni della situazione attuale che era stata ventilata in precedenza, si è ipotizzato che il 10% di dazi su 200 mio di import possano venir cancellati. Sul fronte domestico a Washington sembra avviato alla soluzione, in tempo per evitareuna nuova chiusura governativa (la,deadline è oggi), lo stallo tra Casa Bianca e Democratici. Trump si firmerà un accordo che gli concede molti meno fondi di quelli pretesi (1.4 bio USD vs 5.7). La contromossa (considerata da tempo una strada possibile se non probabile per un Presidente così spregiudicato) è stata però quella di appropriarsi con un decreto esecutivo (causale: Sicurezza Nazionale) di fondi del ministero della difesa. Il che è destinato ad innescare una serie di ricorsi legali sulla decisione e, conseguentemente, a tenere sempre molto alto il livello di conflittualità politica.

La tenuta dell’azionario, nonostante notizie economiche e politiche non positive, mantiene vivo il dibattito sul posizionamento del mercato che, nonostante l’imperiosa salita delle ultime 6 settimane e il recente affiorare di una certa fiducia (se nonancora euforia) tra analisti e investitori, non appare ancora vulnerabile come in altre occasioni (gennaio e settembre 2018 per citare due casi recenti). Non è invece un caso che i mercati emergenti, indicati da una forte maggioranza come il mercato giusto da avere in portafoglio per il 2019 (nelle sue varie declinazioni di azionario e obbligazionario in valuta locale o in dollari/euro) stiano faticando,e non poco, in questa fase. Con la virata dovish di Powell e un rallentamento che potrebbe essere solo fisiologico e temporaneo (‘the jury is still out’ su questo quesito,ripetiamo, fondamentale) il terreno sembrava indubbiamente fertile per questa asset class. Anche qui, e in maniera speculare, è il posizionamento di un mercato ormai sovra-pesato a guidare la price-action. Gli emergenti vengono da un periodo molto più lungo di stabilità dopo i disastri estivi. Nel torrido Q4 si sono in realtà distinti per una certa resilienza. Qualche situazione idiosincratica (l’azienda elettrica Eskom e la soliditàfiscale in Sud Africa, nuove sanzioni in Russia sono gli esempi più recenti) ha innescato specificimaldi pancia ma è l’intera asset class che per ora non sta rispettando le attese e sta sotto-performando altre categorie di risky-aset (azionario dei paesi sviluppati, crediti HY).

Brexit: una sconfitta ieri per Theresa May. Il Primo Ministro ha visto respinto (303 vs 258) la sua mozione.Un voto favorevole avrebbe dovuto confermare una sorta di ‘autorizzazione a procedere’ per il suo tentativo in atto di rinegoziare con l’Europa alcuni aspetti (la backstop irlandese) dell’accordo di separazione al fine di renderlo più digeribile al Parlamento. Sulvoto contrario, rispetto all’emendamento Brady di due settimane va che aveva appunto dato il via libera al governo in quella direzione, ha pesato l’astensione degli hard-Brexiteers dell’European Research Group. Martedì il discorso della May che ha introdotto il dibattito era sembrato più aperto ad arrivare ad escludere il ‘no deal’ irritando la sua frangia più oltranzista. La sconfitta non ha implicazioni procedurali dirette ma solo politiche. La May ha certamente meno credibilità nella sua negoziazione ad oltranza della famigerata backstop irlandese con Bruxelles, conuna minor coesione parlamentare a sostenerla. L’effetto per il mercato potrebbe però non essere negativo. La strategia di arrivare sul ciglio del burrone con l’out-out DEAL (accordo May con qualche modifica più o meno marginale alla backstop) vs NO-DEAL, potrebbe ora essere accantonata e il Primo Ministro cercherà forse di spostare l’alternativa a DEALvs NO-BREXIT (nella forma più blanda che un lungo rinvio potrebbe rappresentare). È possibile che a questo punto il deal sul piatto diventi qualcosa in grado di coinvolgere una frangia laburista, ovvero un accordo più soft di permanenza a tempo indeterminato in un’unione doganale (qualcosa di più simile a un accordo norvegese che canadese insomma). Per fare questo la May dovrà essere disposta a correre il rischio di spaccare il suo partito, se non riuscirà a ricompattarlo con lo spauracchio appunto di una no-Brexit. Le reazioni politiche oggi saranno da seguire con attenzione. Potrebbe avere un buon risk-reward iniziare ad acquistare sterline.

GBP/USD

Durante la sessione asiatica la rilevazione deidati cinesi (CPI/PPI sotto le attese) non ha aiutato a dissipare quello che rappresenta il timore crescente per il mercato: un’accelerazione del rallentamento globale al cui cospetto i policy-maker abbiano armi ormai spuntate. Lo stimolo fiscale di Trump è alle spalle mentre quello cinese rischia di essere meno volitivo e meno efficace. Le munizioni monetarie sono ora quasi inesistenti per Europa e Giappone e parzialmente già utilizzate (nella recente virata dovish) da parte della Fed. Da monitorare (non c’è un orario preciso ma la pubblicazione dovrebbe essere oggi) il dato sulla creazione di nuovi prestiti in Cina e sulla crescita della base monetaria (M2) che negli ultimi mesi sta diventando asfittica, quantomeno per gli standard di Pechino, nonostante i continui sforzi delle autorità di fornire supporto monetario. In notturna il future dell’S&P 500 ha esteso di altri 50bp le modeste perdite di ieri.

Il menù di oggi è soprattutto politico. Si attendono headlines sui negoziati US-Cina. Saranno da valutare le reazioni politiche alla sconfitta della Maydi ieri sera e alla decisione di Trumpdi avvallare l’accordo per evitare un nuovo shutdown ma al prezzo di un’offensiva costituzionale senza precedenti (dichiarare l’emergenza nazionale per appropriarsi dei fondi necessari alla costruzione delle barriere al confine con il Messico). Durante il w/e(deadline il 17) il Dipartimento del Commercio americano dovrà esprimersi sul fatto che le tariffe nel mondo automotive (che il Resto del Mondo impone in misura varia all’export US) rappresentino una minaccia alla sicurezza nazionale (Section 232).Una potenziale mina vagante non molto presente sul radar dei mercati. Infineogni giorno potrebbe essere buono per la chiusura e l’annuncio della patata bollente forse più importante: il rapporto Muellersul coinvolgimento di Trump nel Russia-gate elettorale. Buon w/e.

Il desk rimane come sempre a disposizione per ulteriori approfondimenti.

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