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Il crollo della lira grava sull’oro; le sanzioni iraniane pesano sul greggio

Pubblicato 13.08.2018, 12:49
Aggiornato 02.09.2020, 08:05

I fan dell’oro combatteranno strenuamente per difendere il metallo prezioso al livello chiave di 1.200 dollari l’oncia questa settimana, poiché la crisi delle sanzioni turche sta spingendo gli investitori verso il dollaro, allontanandoli dalle materie prime e dagli altri asset rischiosi. Sul fronte energetico, gli investitori lunghi sul greggio sperano che la stretta sulle forniture iraniane metta fine al crollo peggiore in tre anni della materia prima.

Nel frattempo, i prezzi dei cereali dovrebbero diventare volatili, tra gli ulteriori danni al raccolto per la siccità in Europa e la recente ondata di vendite di frumento, soia e granturco. Anche il gas naturale USA sarà sotto i riflettori: gli investitori valutano se i prezzi saranno destinati a proseguire la loro impennata per il ridotto aumento delle scorte invernali o invece scenderanno per via del clima più mite che riduce la domanda estiva.

Il problema della lira turca dovrebbe spingere altri speculatori verso il dollaro, pesando sulla domanda delle materie prime, secondo gli esperti del forex. Il dollaro è schizzato del 16% contro la lira venerdì, quando il governo Trump ha applicato sanzioni contro Ankara per la detenzione del pastore americano Andrew Brunson nel 2016. Ha anche avvertito che raddoppierà i dazi su acciaio e alluminio turchi.

“Stiamo seguendo da vicino gli sviluppi del cambio USD/TRY”, si legge in una nota di ieri di TD Securities. “Il rischio di contagio è alto sui mercati. I timori della BCE per l’esposizione delle banche alla Turchia e il bilancio italiano hanno spinto la coppia EUR/USD a nuovi minimi”.

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Oltre al trambusto legato alle materie prime, i mercati non perderanno di vista una serie di dati in calendario che comprendono le vendite al dettaglio USA, la produzione industriale cinese e l’inflazione britannica, nonché l’ultima settimana di report sugli utili a Wall Street.

L’oro si avvia a registrare il quinto mese consecutivo in rosso

L’oro, rimasto indietro rispetto al dollaro come investimento rifugio da marzo, ha passato le ultime sei settimane in rosso. Finirà il quinto mese consecutivo in territorio negativo a meno che non registri una svolta ad agosto.

Gold Weekly Chart

Venerdì, i future dell’oro USA con consegna a dicembre, quelli più scambiati, si sono attestati a 1.211,10 dollari l’oncia troy, con i segnali tecnici giornalieri di Investing.com che indicano “Sell”. Anche se i pattern di Fibonacci indicano un supporto di Livello 3 a 1.217,17 dollari oggi, molti di coloro che hanno assistito alla discesa dei lingotti dal massimo di gennaio di 1.357,20 dollari ritengono che gli orsi dell’oro tenteranno nuovi minimi nel clima di avversione al rischio creato dalla lira.

Alcuni pensano che il metallo prezioso ora sarebbe salito se fosse stato in oversold. Ma i dati di venerdì della Commodity Futures Trading Commission hanno mostrato che gli hedge fund e altri grossi speculatori stanno riducendo le aspettative rialziste sull’oro USA per la quarta settimana consecutiva, raggiungendo il minimo del 2015 del netto dei possedimenti.

“I trader stanno scegliendo scambi di tipo ‘cash is king’”, con al centro la liquidità, abbandonando i lingotti, afferma George Gero, analista dei metalli preziosi di RBC Capital a New York. “Ciò significa un’impennata del dollaro a massimi che non si registrano dal 2017 che limita il rimbalzo dell’oro”.

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Mercato del greggio diviso sulle conseguenze delle sanzioni iraniane

Le sanzioni USA contro l’Iran e il conseguente colpo sulle esportazioni petrolifere di Tehran probabilmente aiuteranno il prezzo del greggio ad interrompere la discesa più lunga dal 2015, secondo alcuni analisti.

WTI Daily Chart

Sia il West Texas Intermediate USA che il gregio Brent britannico si sono attestati al rialzo venerdì ma i guadagni non sono stati sufficienti ad impedire di registrare la quinta settimana al ribasso su sei.

All’attestazione della scorsa settimana di 67,63 dollari al barile, il WTI è ancora uno “Strong Sell” in base ai segnali tecnici giornalieri di Investing.com, con le letture di Fibonacci che pongono il primo supporto a 67,65 dollari, il secondo a 67,57 dollari e il terzo a 67,44 dollari.

Anche il Brent, attestatosi a 72,81 dollari, è uno “Strong Sell” per i segnali tecnici giornalieri, con il supporto di Fibonacci a 71,79 dollari, 71,37 dollari e 70,71 dollari.

La scorsa settimana gli Stati Uniti hanno reso noto di aver applicato nuove sanzioni contro l’Iran, che prenderanno di mira anche il settore petrolifero del paese a partire da novembre. Un milione di barili della produzione giornaliera iraniana, che ammonta a circa 2,5 milioni di barili, potrebbe essere a rischio.

Ma con gli altri membri dell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di petrolio (OPEC) a compensare il calo delle esportazioni iraniane, le sanzioni contro Tehran potrebbero non avere poi molta importanza, secondo quanto reso noto dalla banca di Francoforte Commerzbank, che aggiunge che i prezzi del greggio sono probabilmente giustificati ai livelli attuali se non inferiori.

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Anche l’aumento della produzione petrolifera statunitense sta esacerbando le paure per le scorte in eccesso. Il numero degli impianti di trivellazione USA è schizzato di 10 unità la scorsa settimana, il massimo da maggio. La produzione petrolifera totale americana è quasi il 16% in più rispetto all’anno scorso.

“Il mercato si trova al centro di una battaglia tra chi crede che l’aumento della produzione promesso dall’OPEC e da alcuni produttori non-OPEC sia sufficiente a contrastare i numerosi problemi geopolitici in tutto il mondo” e chi no, afferma Dominick Chirichella, analista di EMI DTN a New York.

“In base alla performance del mercato nelle ultime sei settimane, si deve concludere che l’opinione sull’aumento della produzione sembra essere la più gettonata”.

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