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NAFTA e dollaro debole nuovi massimi a Wall Street

Pubblicato 28.08.2018, 09:26
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I nuovi massimi assoluti toccati contemporaneamente da tutti i principali indici americani (S&P 500, Nasdaq e Russell 2000) non sono di questi tempi una rarità ma vanno comunque segnalati. La debolezza del dollaro e l’annuncio di un accordo di massima tra Stati Uniti e Messico sul fronte NAFTA sono stati i motori della evidente positività emersa nella sessione di ieri per quasi tutti i risky asset.

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Nuovi massimi… e in quanti hanno provato a chiamare un top in questo ciclo…

Alcuni analisti hanno interpretato l’intervento di Powell a Jackson Hole come dovish e conseguente come causa dei recenti movimenti di mercato (soprattutto nell’alimentare la debolezza USD). Dal mio punto di vista le sue parole sono state poco sorprendenti. Si può al limite individuare un bias dovish molto marginale nell’aver mostrato a) una maggiore disponibilità a rendere dipendenti i futuri rialzi graduali dall’andamento dell’economia (“if the strong growth in income and jobs continues, further gradual increases … will likely be appropriate”), b) un’aumentata attenzione ai venti contrari globali (protezionismo commerciale, mercati emergenti), c) nell’aver esplicitamente ammesso di non vedere segnali di surriscaldamento economico. Nessuno di questi messaggi mi sembra sufficiente a muovere il mercato per più di una sessione come sta in effetti avvenendo. Sono altri i fattori che stanno contribuendo ad indebolire il biglietto verde e, allontanando una delle più temute cause potenziali di volatilità ribassista (il dollaro forte e il suo effetto pernicioso sui mercati emergenti), a supportare i risky asset:

La PBoC (banca centrale cinese) ha mostrato una chiara volontà di contenimento della debolezza dello yuan. Quando abbiamo testato il livello di 6.90 sul USD/CNY (3 agosto) è stato introdotto un margine obbligatorio (del 20%) per operare in vendita sul mercato forward della valuta cinese. Quando le vendite sono tornate e abbiamo ri-approcciato il livello (venerdì scorso) le autorità monetarie di Pechino hanno re-introdotto il cosiddetto ‘counter-cyclical factor’ che sostanzialmente rende il meccanismo di fixing più propenso a dare supporto allo yuan nei momenti di debolezza. Un segnale abbastanza palese che si vuole evitare avvitamenti ribassisti sulla valuta cinese è di per se un segnale rassicurante nel rendere meno probabile uno degli scenari più temuti (un deprezzamento incontrollato in stile 2015).

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Il fattore principale che ha favorito l’ascesa del dollaro negli ultimi mesi è stata la percezione che la divergenza tra performance economica americana (davvero robusta in Q1 e Q2) e resto del mondo (in flessione pur da livelli alti) stesse aumentando. I segnali che questa tendenza stia stallando o addirittura invertendosi iniziano ora ad apparire più chiari. I dati macro US sono spesso stati sotto le attese, anche se il più delle volte solo marginalmente, nelle ultime settimane mentre in Europa stanno arrivando segnali di stabilizzazione/rimbalzo (i PMI-flash di settimana scorsa, l’IFO tedesco ieri sono gli ultimi esempi) dopo una fase di frenata nella prima metà dell’anno. C’è quindi qualcosa di più della semplice riduzione da ipervenduto e del posizionamento ribassista eccessivo (che peraltro rimane ancora corposo nelle consuete analisi dei dati del CME) nel rimbalzo da 1.13 alle soglie di 1.17 che l’EUR/USD ha messo a segno nelle ultime due settimane

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L’analisi tecnica e di posizionamento restano comunque dei catalizzatori potenziali di ulteriore estensione del movimento. Il tentativo di uscita ribassista dal range 1.1850/1.1500, innescatosi nel momento di peggiore liquidità (ferragosto) da fattori di rischio in grado di colpire più direttamente gli asset europei (Italia e Turchia), è stato prontamente rigettato, regalando a chi analizza l’andamento dei prezzi un segnale rialzista, valido almeno fino a un nuovo test della parte alta del range la cui violazione è stata negata (i.e. area 1.1850).

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NAFTA deal. Dopo l’ammorbidimento mostrato nei confronti dell’Europa nella sospensione delle ostilità accordata a Junker e ribadita da qualche dichiarazione recente di Trump e Merkel, la disponibilità al negoziato con il Messico (che dovrebbe essere in grado di riportare al tavolo anche il Canada in tempi brevi) non fa nulla per diradare le ombre sul conflitto Washington-Pechino ma rende meno probabile una guerra commerciale cieca e brutale di Trump contro tutti. Ieri è arrivato l’annuncio, ormai nell’aria da giorni, che è stata raggiunta un’intesa di massima su temi scottanti come i limiti di contenuto percentuale di materie prime estere o di manodopera a basso costo nella produzione di automobili destinate al mercato US, o su come modificare l’intelaiatura giudiziale in caso di contenziosi cross-border. La notizia ha indubbiamente contribuito al tono positivo dei mercati e alla chiara sovra-performance dell’azionario emergente rispetto a quello dei paesi sviluppati (MSCI EM index +1.4%). Va detto che l’accordo sembra per ora molto di ‘facciata’: prevedere ad esempio che ci sia almeno il 45% di manodopera retribuita a 16 USD/ora (non messicana quindi dove il costo medio è di 3 USD/ora!) significa semplicemente adeguarsi allo status quo (sono pochissimi i modelli in cui la percentuale è inferiore). Forse è per questo che il peso messicano, dopo l’ottima performance delle ultime settimane, stenta ad estendere i suoi guadagni e a festeggiare la buona notizia. Ora il diavolo sarà nei dettagli e per una vera e propria riforma del NAFTA ci vorrà tempo, lavoro e sarà tutto più complicato di quello che il semplice e positivo effetto annuncio fa presagire. Un’ulteriore complessità risiede nel far poi triangolare il tutto riportando il Canada al tavolo della trattativa (ripartire da un semplice accordo bilaterale, fondamentalmente diverso dal NAFTA come lo conosciamo implicherebbe un iter legislativo di approvazione US molto più complesso con coinvolgimento del Congresso). In ogni caso non si può negare che i toni più concilianti della Casa Bianca con Messico ed Europa siano un fattore positivo: il piano inclinato del protezionismo sembra in alcuni casi essere diventato molto meno inclinato. Diversa la situazione dei rapporti US-Cina. La prova di forza Trump-Xi va ben oltre l’atteggiamento aggressivo dell’attuale amministrazione US e il suo aspetto più prettamente commerciale. È ormai un confronto sempre più duro sull’egemonia tecnologica e militare che ci porteremo dietro per molti anni e per cui si potrà al massimo sperare in qualche intervallo di tregua. Temi di lungo periodo che non impediscono comunque al mercato di festeggiare la buona notizia che la trade war globale sembra stia assumendo connotati meno minacciosi perdendo le sembianze di un catastrofico ‘tutti contro tutti’.

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Una sessione asiatica tranquilla ha confermato il tono positivo di ieri con modesti guadagni nella maggior parte delle piazze del Pacifico. L’agenda macro di oggi sarà scarna (il che vale un po’ per tutta la settimana, accorciata dalla chiusura londinese di ieri, in cui gli highlight saranno dati sull’inflazione US e europea). Gli spunti principali continueranno ad arrivare dal palcoscenico giudiziario di Washington (indagine su Trump e i suoi associati ed ex-associati), da quello politico italiano e da quello del commercio globale. Buona giornata.

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