Una serie di aumenti così violenti l’abbiamo vista negli anni ’80…
Tanto tuonò che piovve. Alla fine Powell ha alzato i tassi di ulteriori 75 bp (un quarto di punto lo aveva fatto in marzo, mezzo punto in maggio e tre quarti di punto in giugno) portando il costo del denaro in una forchetta fra il 2,25% e il 2,50% (whatever it takes). I mercati hanno già visto questo copione negli anni ’80, quando alla guida della FED c’era Paul Volcker e alla Casa Bianca Ronald Reagan. Nel novembre del 1980 la FED portò il tasso dei fondi federali al 15,9% e successivamente al picco storico del 19,1% nel giugno del 1981 e aprì la strada alle due recessioni USA (1980 e nel 1981/82), la prima delle quali costò la rielezione di Carter e la seconda la sconfitta di mid term di Reagan. Il Tbond a 10 anni tocco il picco di periodo al 15,8% nel settembre del 1981 e nell’agosto del 1982 il Dow Jones tocco il minino a 776 punti. La FED si rende perfettamente conto che la sua politica monetaria rallenterà l'economia, ma lo ritiene necessario.
… ma gli effetti saranno diversi
Non crediamo tuttavia che ci sarà un effetto simile a quello del 1980. Intanto perché il periodo storico è completamente diverso e poi perché la stretta monetaria include non solo il rialzo dei tassi, ma anche il taglio al bilancio per 95 miliardi al mese. Inoltre, una buona parte dell’inflazione USA è dovuta alle limitazioni sul fronte dell'offerta che, complice la carenza di forza lavoro che ha determinato pressioni rialziste sui salari, ha alimentano direttamente la crescita dei prezzi. Ciò significa che l’arma del rialzo dei tassi di interesse risulta un po’ spuntata per contrastare un’inflazione provocata da fattori relativi all’offerta.
La recessione aprirà la strada ad una discesa dei tassi nel 2023
E’ scontato che gli aumenti della FED manderanno in recessione l’economia americana (e il progressivo appiattirsi della curva dei rendimenti lo segnala da tempo), il punto è capire quanto profonda e lunga possa essere. Se la recessione dovesse scappare di mano (perché non è agevole controllare la flessione dell’attività economica), i tassi nei trimestri successivi avrebbero maggiori probabilità di essere tagliati che non alzati o essere tenuti invariati. Secondo le stime di CME Group, entro i primi mesi del 2023 i tassi FED saliranno al 4-4,25%, salvo scendere al 3,50% già entro luglio. In questo momento il mercato prezza già tre tagli dei tassi da 0,25% da qui a dodici mesi, ossia appunto la recessione.
Investimenti: allungamento opportunistico della duration e titoli azionari di qualità
In questa fase riteniamo quindi che gli investitori dovrebbero guardare in modo opportunistico ad un allungamento della duration del portafoglio obbligazionario: considerato l'appiattimento relativo della curva, il rendimento incrementale per detenere scadenze più lunghe potrebbe non essere del tutto compensato dal più elevato rischio (almeno per il momento). Per quanto riguarda l’azionario,
di solito un aumento dei tassi è una cattiva notizia per i mercati. Ieri tuttavia il Nasdaq ha messo a segno una performance che non si vedeva da mesi. Digerito l’aumento dei tassi (Powell lo ha detto in tutte le salse) è possibile che i titoli tecnologici comincino a scontare la flessione dei tassi nel 2023.
Riteniamo corretta una strategia bottom up che privilegi i titoli di quelle società che producono cassa, siano market leader nel proprio settore di riferimento e vantino una redditività superiore e sostenibile rispetto a quella media del proprio settore.